La violenta e massiccia offensiva militare del 3 luglio scorso alla città di Jenin in Cisgiordania conferma quanto il governo colonial-imperialista di Israele miri ad annientare completamente un popolo che, dalla Nakba(1) del 1948, data della creazione dello Stato di Israele, in seguito a continue guerre di aggressione è stato progressivamente espulso dai propri territori. Un popolo ridotto a vivere in Cisgiordania, nella Gerusalemme est e nella Striscia di Gaza, una vera e propria prigione a cielo aperto oppure costretto a rifugiarsi in Paesi lontani dalla propria patria (ad oggi i rifugiati sono 5,8 milioni e in continua crescita).

L’attacco militare di luglio contro il campo profughi di Jenin è stato particolarmente feroce. Israele ha aggredito Jenin con raid e attacchi simultanei aerei e terrestri, danneggiando anche l’ospedale Al Amal e una clinica dell’UNRWA con l’obiettivo di stanare i “terroristi”. Bulldozer militari hanno distrutto strade, sistemi idrici, elettrici e fognari.

Secondo il Ministro della Sanità dell’Autorità Nazionale Palestinese ci sono stati 13 morti e 150 feriti. Delle 16.000 persone del campo, 4000 hanno dovuto lasciare le proprie case gravemente danneggiate. Questo massacro, un vero e proprio crimine di guerra, è stato chiamato “OPERAZIONE CASA E GIARDINO” con nauseante, macabra ironia.

Non si è levato nessun grido d’indignazione, nessuna condanna dell’Europa e degli Usa, il paese che ama presentarsi come “esportatore di democrazia”. Silenzio complice della Von Der Leyen e del Segretario generale della Nato Stoltenberg, a cui si è accompagnata un’aberrante dichiarazione del Segretario Generale dell’Onu Guteress “Tutte le operazioni militari devono essere condotte nel rispetto del diritto umanitario internazionale”. Ci si chiede da quando simili operazioni militari siano umanitarie, un vero e proprio ossimoro.

L’affermazione del Segretario Generale dell’Onu evidenzia la totale ipocrisia degli Usa che condannano Putin quando definisce l’invasione dell’Ucraina “operazione militare speciale”, ma per quanto riguarda Israele adoperano la stessa definizione connotando positivamente l’aggressione preparata da settimane e preceduta da un’intensa offensiva mediatica da parte del governo più fascista della storia d’Israele.

A conferma, quanto affermato in giugno dal Ministro della Sicurezza israeliano Itamar Ben Gyir: “La Terra di Israele deve essere colonizzata, deve essere lanciata un’operazione militare. Demolire gli edifici, eliminare i terroristi. Non uno o due, ma decine e centinaia, perfino migliaia se necessario”.

Terroristi, sì, perché per i fascio-sionisti ogni palestinese è un terrorista, compresi donne e bambini.

Ma perché condurre un violentissimo attacco militare proprio contro Jenin?

La spiegazione è semplice: Jenin con le sue Brigate assieme a Nablus dove opera il gruppo resistente la Fossa dei Leoni, è una roccaforte della Resistenza palestinese e proprio in questa città nel 2022 è stata uccisa la giornalista palestinese Shireen Abu Akleh. Israele cerca di spezzare la resistenza palestinese separando Jenin, Nablus, Ramallah, in modo che l’esercito possa scatenare la massima violenza con la minima resistenza. In questa sporca operazione l’esercito viene affiancato dai coloni che vivono nei territori occupati della Cisgiordania e di Gerusalemme est; come compenso Israele permette loro di insediarsi illegalmente nei territori palestinesi. La strategia è sempre la stessa; i coloni attaccano i villaggi palestinesi e, alla reazione di autodifesa dei Palestinesi, segue l’azione militare dell’esercito israeliano nei campi profughi.

Dal 1948 ad oggi i Palestinesi hanno subito quotidianamente aggressioni da parte dell’esercito israeliano, coadiuvato dai coloni che si sono insediati sulle loro terre strappate illegittimamente e con violenza; subiscono uccisioni, ferimenti, distruzioni di case.

Un quadro agghiacciante che i media occidentali hanno coperto volutamente, focalizzando l’attenzione solo sui morti israeliani caduti durante le loro aggressioni militari, con l’intento di fornire l’immagine della vittima e non dell’aggressore.

Non hanno suscitato sdegno e condanna nemmeno alcune tra le azioni più cruente ed efferate succedutesi nel tempo fra cui:

il MASSACRO DI SABRA E SHATILA del settembre 1982, eccidio compiuto dalle Falangi libanesi con la complicità dell’esercito israeliano; si stimano 3500 morti, molti dei quali civili sepolti in fosse comuni

l’OPERAZIONE SCUDO DIFENSIVO del marzo 2002, la più grande operazione militare in Cisgiordania dopo la fine della Guerra dei 6 giorni (la città di Jenin fu rasa al suolo dai bombardamenti). L’esercito guidato da Ariel Sharon in poche settimane lasciò sul terreno migliaia fra morti e feriti e furono fatte prigioniere quasi 5000 persone;

l’OPERAZIONE PIOMBO FUSO del 2008, così chiamata per l’uso del fosforo bianco, condotta contro Gaza. L’uso del fosforo bianco sui civili è stato vietato dalla Convenzione delle Nazioni Unite in quanto arma letale che in pochi secondi provoca ustioni gravissime e a contatto con la pelle brucia i tessuti provocandone la necrosi fino alle ossa. Furono uccisi oltre 1400 Palestinesi fra cui 300 bambini.

La GRANDE MARCIA DEL RITORNO2 anno-2018, durante la quale si registrarono 250 morti e 23000 feriti tra cui 5183 ragazzi, 464 ragazze, 1437 donne (Dati OCHA- Ufficio per gli affari umanitari delle Nazioni Unite).

L’anno 2023 è un anno di continue violenze e aggressioni terroristiche. Ad oggi sono stati uccisi 192 Palestinesi inclusi 31 bambini/e, più del 2022; sono state demolite strutture civili fra cui la scuola di Jabbet el Dub (demolita il 7 maggio) e sono stati eseguiti continui arresti anche di minorenni. È doveroso denunciare il rivoltante trattamento che il governo israeliano riserva persino ai minori e ai bambini.

Non ultima l’uccisione (avvenuta nel villaggio di Nabi Saleh vicino a Ramallah) di un bimbo di tre anni della famiglia Tamimi, simbolo della resistenza non violenta. Il piccolo si trovava in macchina con la mamma e con il papà ferito. Solo nell’estate del 2014 sono stati uccisi 500 bambini. Il 2022 è stato definito dal DCIP (Defence for Children International Palestine) l’anno peggiore per i bambini palestinesi della Cisgiordania occupata, comprese Gerusalemme Est e la Striscia di Gaza. Nonostante il diritto internazionale stabilisca che “la forza letale intenzionale è giustificata solo in circostanze in cui è presente una minaccia diretta alla vita o lesioni gravi”, secondo le indagini e le prove raccolte dal DCIP, le forze israeliane utilizzano regolarmente la “forza letale” contro i bambini palestinesi in circostanze che possono equivalere a uccisioni extragiudiziali o intenzionali.

L’esercito israeliano ha arrestato centinaia di bambini palestinesi nella Cisgiordania occupata senza mai emettere una citazione o avvisare le loro famiglie (Hamoked organizzazione israeliana per i diritti umani).

 Ogni anno le forze di sicurezza israeliane arrestano circa mille bambini palestinesi dalla Cisgiordania e altri mille da Gerusalemme est; i bambini vengono presi dalla strada, nelle scuole e nei loro letti. Vengono ammanettati e i loro occhi bendati; a genitori, parenti o avvocati non è consentito accompagnarli. Ricevono percosse, minacce e sono vittime in alcuni casi di abusi sessuali. Tutto ciò provoca dolore fisico ed emotivo.

L’86% sono soggetti a percosse, il 69% a perquisizioni e il 42% viene ferito al momento dell’arresto, comprese ferite da armi da fuoco e fratture ossee. Alcuni vengono condotti in tribunale o nei centri di detenzione in piccole gabbie.  Il 70% ha dichiarato di soffrire la fame e il 68% di non ricevere alcuna assistenza sanitaria.

Il lancio di pietre è considerato un crimine condannato a una detenzione che può arrivare a 20 anni per i minori. Ancora più grave la situazione dei bambini nella striscia di Gaza, una prigione a cielo aperto dove si soffre per mancanza di elettricità, acqua, cibo e assistenza sanitaria. I bambini gazawi nascono nella guerra, vivono nella guerra e muoiono nella guerra. A loro è negata l’infanzia. In Terra di Palestina al dolore si aggiunge altro dolore; risale al 2015 la denuncia dell’ambasciatore palestinese all’Onu Ryad Mansour, di traffico di organi di bambini palestinesi da parte del governo israeliano. Tanti sono i report che hanno denunciato questa orribile pratica, nonostante la comunità internazionale cerchi di insabbiare questo sporco e illegale commercio. Il primo a parlarne nel 2009 fu il quotidiano svedese Aftonbladet e anni dopo anche il New York Times dichiarò che: “Dal 2000, gli Israeliani rivestono un ruolo sproporzionato nel traffico di organi umani”. Nel 2018 ha ripreso il tema Robrecht Vanderbeeken, segretario culturale del sindacato belga Acod attraverso il sito belga De Wereld Morgen: “La popolazione della Striscia di Gaza è costretta a morire di fame e i bambini vengono rapiti e uccisi per vendere i loro organi”. Il Centro Interfederale delle Pari Opportunità ha reclamato ma, nonostante questa rimostranza, il sito ha riconfermato tutto quello che è stato scritto.

Il sostegno dei Paesi imperialisti europei allo Stato d’Israele

Da più di 70 anni, con cadenza periodica, lo Stato d’Israele è protagonista di una guerra di bassa intensità contro il popolo palestinese, che si accentua periodicamente senza che la cosiddetta “comunità internazionale” manifesti una qualche volontà di opposizione. Questa complicità rimanda a un più generale sostanziale sostegno allo Stato sionista.

I paesi imperialisti europei mantengono strette relazioni con il governo di Netanyahu, condividendone, su scala generale, interessi economici e strategici.

In un anno e mezzo Intesa San Paolo ha investito oltre 20 milioni di euro per lo sviluppo di start-up israeliane attive nell’informatica, dal quantum computing (una tecnologia che sfrutta le leggi della meccanica quantistica per risolvere problemi molto complessi per i computer classici), all’agri-foodtech e alla cybersecurity.

Tra gennaio 2018 e maggio 2021 quattro banche europee (Deutshe Bank, BNPParibas, HSBC e Standard Charthered) hanno fornito a Booking Holdings prestiti per 590 milioni di dollari e 1,6 miliardi di dollari in sottoscrizioni.

L’istituto bancario francese BNP Paribas ha investito in obbligazioni e partecipazioni azionarie per un valore totale di 3,34 miliardi di dollari in 30 società coinvolte nell’attività di insediamento illegale. Ha prestato 38 milioni di dollari a Elbit Systems, azienda fornitrice di prodotti e servizi all’esercito, al ministero degli interni e alla polizia israeliana, compresi i droni utilizzati spesso durante le operazioni militari nella Cisgiordania occupata. Inoltre è uno dei principali fornitori del sistema di recinzione elettronica del Muro di separazione. La banca ha concesso ingenti prestiti a Caterpillar (sede Stati Uniti) e a HeidelbergCement (sede Germania), due società di costruzioni che hanno un ruolo logistico diretto nell’espansione degli insediamenti illegali. Who Profits (centro di ricerca indipendente che si occupa di esporre il ruolo del settore privato nell’economia dell’occupazione israeliana) sostiene che le attrezzature di Caterpillar sono state utilizzate per operazioni illegali come demolizioni di case su larga scala, arresti e uccisioni di Palestinesi. Prima di pubblicare il rapporto, la coalizione Don’t Buy into Occupation ha cercato un confronto con la banca per darle la possibilità di esprimersi sul suo coinvolgimento negli insediamenti israeliani, ma BNP Paribas non ha risposto.

La posizione assunta dal governo neofascista della Presidente Meloni, mentre a parole pone l’accento sulla necessità di un’azione diplomatica, dall’altra appoggia di fatto l’aggressione contro la città di Jenin. Il senatore di Fratelli d’Italia, Giulio Terzi di Sant’Agata (ex ministro degli esteri del governo Monti), ha persino richiesto  di rimuovere Francesca Albanese (relatrice speciale dell’Onu nel territorio palestinese occupato) per aver scritto su Twitter  che: “Israele ha il diritto di difendersi, ma non può farvi appello quando si tratta delle persone che opprime/ di cui colonizza le terre”. Al senatore di Fratelli d’Italia fa da supporter il senatore Fassino del Pd, che attacca vergognosamente Francesca Albanese. Se alcuni esponenti del Pd hanno firmato una lettera aperta per condannare i piani di annessione di Israele, il Pd ha sempre espresso sostegno e solidarietà a Israele.

Il ruolo dell’imperialismo USA

Gli Usa hanno “adottato” Israele fin dalla sua nascita, individuando nello Stato d’Israele una pedina strategica dell’imperialismo americano nel Medio Oriente, territorio storicamente caratterizzato da sommovimenti sociali e politici spesso invisi agli States e alle altre potenze imperialiste occidentali.

Durante la “guerra fredda”, lo Stato d’Israele, insieme ad altri paesi non arabi della zona (Iran, Turchia, Pakistan), operò costantemente come un rappresentate degli interessi dell’imperialismo Usa.

Esistono quindi forti legami fra i servizi di intelligence dei due paesi; l’Unità 8200 israeliana e l’Agenzia di Sicurezza Nazionale statunitense hanno creato un’apposita associazione di cooperazione atta ad operare a tutto campo nello scenario internazionale.

Esiste anche una più specifica affinità ideologica tra l’estrema destra suprematista Usa e i centri del potere fascio-sionista. In comune hanno il razzismo sociale e l’aporofobia, fobia contro i poveri, gli svantaggiati, i musulmani poveri e “sottosviluppati”. Il “Progetto del Nuovo Vicino Oriente”, programmato dagli Usa dopo il collasso della Russia, e che prevede la trasformazione dei paesi strategici della zona in piccoli stati pienamente assoggettati agli USA e allo Stato d’Israele, si accorda con questo tipo di logiche.

Washington impiega milioni di cittadini nell’industria delle armi, notoriamente pilastro dell’economia monopolistica di Stato USA. Tutto ruota intorno a un sistema capitalista e imperialista guerrafondaio. Quando Israele ha accusato l’Iran di fabbricare la bomba atomica, ha ricevuto dagli Stati Uniti circa 3.100 milioni di dollari. Inoltre gli Usa, tramite Israele, hanno potuto vendere armi a quei paesi a cui non potevano farlo direttamente. Il protettorato Usa si è rafforzato con l’installazione della prima base militare statunitense nel deserto del Negev nel 2017. Gli Usa hanno garantito, nella zona, la superiorità militare a Israele, che è l’unico Paese che possiede armi nucleari. Fra Israele e Stati Uniti c’è sempre concordanza nelle votazioni all’Onu; inoltre gli Usa, basandosi sul loro status di membro permanente con diritto di veto, hanno bloccato ben 30 risoluzioni contrarie ad Israele.

L’azienda statunitense Booking Holdings, proprietaria di diversi marchi di siti e piattaforme dedicati ai viaggi fra cui Booking.com, sponsorizza strutture, come Il Kaila Kibbutz Hotel, che si trovano su terreni illegalmente occupati da Israele. In sostanza, Booking.com guadagna grazie ai crimini contro l’umanità.

L’eroica strada della ribellione e della liberazione nazionale

La situazione in cui versano Cisgiordania, la Striscia di Gaza e Gerusalemme est è sempre più preoccupante, data l’escalation di Israele, con attacchi sempre più violenti e la frammentazione del fronte di Resistenza palestinese. Il presidente palestinese Abu Mazen, presidente di Fatah e dell’Autorità Nazionale Palestinese, oggi è screditato agli occhi del suo popolo e il suo governo sopravvive grazie al credito di Stati Uniti e Israele, spiegabile con gli accordi di Oslo del 1994, che hanno attribuito all’ANP il compito di controllo dei Palestinesi per impedire qualsiasi mobilitazione di massa. Contro l’occupazione del governo colonial-imperialista sono nati nuovi gruppi armati della Resistenza, fra i quali la Fossa dei Leoni a Nablus e le Brigate Jenin nell’omonima città. Questi gruppi godono del sostegno delle masse popolari: il 68% sostiene la formazione di questi gruppi armati, l’87% ritiene che l’Autorità Palestinese non abbia il diritto di arrestare gli affiliati a questi gruppi, il 61% prevede una nuova Intifada armata a cui l’ANP non parteciperà (dati di Palestinian Centre for Policy and Survey Research). Questo sostegno di massa fa ben sperare, nonostante si combatta una guerra apparentemente ad armi impari. Si sta assistendo a un risveglio di quella nuova generazione di giovani nati dopo la morte di Arafat, giovani che hanno preso le distanze sia da Fatah (guida del governo di Ramallah accusato di corruzione e di collaborazione con Israele nella repressione dei resistenti), sia dall’ANP colpevole di aver scelto la strada della collaborazione con il fascio-sionismo e l’imperialismo, abbandonando le larghe masse popolari palestinesi alla repressione e alla miseria. Date queste premesse, l’unica soluzione per porre fine al genocidio del popolo palestinese sarebbe la creazione di un fronte antimperialista di massa degli strati popolari oppressi e l’unione, sulla base della linea della guerra di liberazione nazionale, di tutti i gruppi democratici e rivoluzionari. È chiaro che la lotta per la liberazione della Palestina va oltre i suoi confini storici; essa è inscindibilmente legata alle lotte contro i regimi reazionari del Medio Oriente e dei loro sostenitori statunitensi. Un’effettiva e stabile liberazione potrà determinarsi solo sulla base della direzione del fronte antimperialista da parte della classe operaia, cosa che richiede un partito comunista di nuovo tipo e uno spirito internazionalista nel quadro dello sviluppo della rivoluzione proletaria mondiale e nel rapporto con le lotte rivoluzionarie e le rivoluzioni di Nuova Democrazia in corso in vari paesi del mondo sotto la guida di partiti effettivamente comunisti.

 

1-Nakba letteralmente “catastrofe” l’esodo della popolazione araba palestinese dopo la fondazione dello Stato d’Israele; più di 700.000 arabi palestinesi abbandonarono villaggi e città o ne furono espulsi senza poter più ritornare nella propria Terra.

2-Marcia del ritorno  richiesta da parte dei discendenti dei rifugiati che avevano perso le loro case nel 1948 di ritornare alle proprietà delle loro famiglie nei territori occupati dai coloni israeliani.