1. L’autonomia differenziata a partire dalla riforma del Titolo V della Carta Costituzionale

Nella seduta del 23 gennaio 2024 il Senato ha approvato il disegno di legge collegato alla manovra sull’attuazione dell’autonomia differenziata. Tale disegno attribuisce alle Regioni a statuto ordinario l’autonomia integrale su 23 materie (di cui tre sino ad oggi di esclusiva competenza dello “Stato” [i]). Fra queste: istruzione, sanità, protezione civile, grandi reti di trasporto, previdenza complementare e integrativa, tutela e sicurezza del lavoro, commercio con l’estero. È sancita la possibilità di trattenere il gettito fiscale legato all’erogazione dei servizi per utilizzarlo sul proprio territorio. Ora il disegno di legge passerà alla Camera dove sarà naturalmente approvato, data la maggioranza della coalizione di governo. Questo progetto ha le sue radici nel tentativo di stabilizzare e rilanciare l’economia imperialista italiana e di far fronte alla disastrosa crisi economica ed egemonica dello Stato. Si tratta di una prospettiva ovviamente illusoria, a cui da vari decenni aderiscono tutte le forze politiche di potere, che non potrà che accentuare, sotto ogni profilo, l’oppressione e lo sfruttamento delle masse popolari e, insieme a tutto questo, lo sfacelo reazionario della società italiana.

L’autonomia differenziata rappresenta una radicale accelerazione delle logiche volte all’affermazione del federalismo reazionario corporativo che, nel nostro paese, appare oggi come un elemento centrale dei processi relativi alla formazione di un organico regime fascista.  Le sue radici legislative sono da ricercarsi nella cosiddetta riforma del Titolo V della Costituzione (governo Dalema/Amato legge 3 del 2001). In senso lato, le premesse di tale progetto sono da ricercare in quell’abbattimento progressivo dello Stato Costituzionale parlamentare, attuato tramite svariate controriforme reazionarie volte ad esautorare da ogni funzione le istituzioni rappresentative borghesi (parlamento, consigli regionali e comunali, ecc.). Peraltro, istituzioni profondamente segnate nel nostro paese, sin dalla fine della seconda guerra mondiale, dall’assenza di una reale rottura con il passato regime fascista mussoliniano.

All’articolo 118 è stato introdotto il cosiddetto “principio di sussidiarietà orizzontale”, legittimando così a livello legislativo l’ulteriore riduzione dei servizi pubblici essenziali. È stata così sancita, sotto vari aspetti, anche una drastica penalizzazione delle masse popolari del Meridione e delle Isole. Questo a dimostrazione della volontà del Grande Capitale del Nord, mirante alla riproposizione ed accentuazione della “questione meridionale”, ossia ad una gestione delle masse popolari del Sud e delle Isole da condurre insieme alle rendite e all’imprenditoria criminale mafiosa dell’Italia centro-meridionale, in forme funzionali, sotto il profilo economico e politico, agli interessi di una borghesia imperialista del tutto marginale su scala internazionale ma, se possibile, ancora più corrotta, rapace e reazionaria di quella di altri paesi europei.

 

  1. L’imbroglio dei cosiddetti “livelli essenziali delle prestazioni” [Lep]

Nello specifico, la sciagurata revisione del Titolo V ha volutamente lasciato senza copertura costituzionale, quindi senza garanzia di finanziamento, i servizi pubblici essenziali in particolare del Meridione. Contemporaneamente, ha incentivato la privatizzazione dei servizi pubblici (ossia il dirottamento degli impieghi relativi al gettito fiscale a favore dell’imprenditoria e delle rendite parassitarie) e ha stabilito per l’erogazione dei servizi pubblici i cosiddetti Lep (definiti ipocritamente “livelli essenziali delle prestazioni”), negazione dei principi di uguaglianza sostanziale tra le diverse aree regionali stabiliti formalmente dalla Carta Costituzionale. Da sottolineare, infatti, che i Lep, disattendono il principio costituzionale secondo il quale i livelli delle prestazioni dovranno essere garantiti nella stessa misura delle effettive necessità, per es. nel campo della salute, di ogni singola persona. Inoltre, il disegno di legge stabilisce comunque l’invarianza dei livelli di spesa pubblica impiegabili nel finanziamento dei Lep. Ne consegue che i livelli delle prestazioni si abbasseranno ancora una volta in tutto il Paese e cha la spesa pubblica subirà pesanti tagli nei comparti non Lep.  Infine, per quanto attiene ai Lep, il disegno di legge Calderoli mira a sancire in realtà una differenziazione su base regionale relativa a questi stessi livelli e per di più mantiene volutamente nell’indefinizione sia i termini relativi al loro finanziamento, sia quelli relativi alla loro effettiva fruibilità sotto il profilo di una garanzia rivendicabile sul piano giuridico. In ogni caso, si persegue una politica elitaria, classista, antiproletaria e fascista. Siamo dinanzi a un vaso di Pandora da cui usciranno provvedimenti che costeranno lacrime e sangue alle masse. Siamo dinanzi a un progetto che ha come scopo una piena trasformazione della forma dello Stato per arrivare a contratti, diritti e servizi ancora più al ribasso di quelli attuali, dove le masse popolari di una regione verranno spinte ad entrare in concorrenza con quelle di altre regioni, con relativa accentuazione delle ideologie razziste e della frammentazione politica e sociale. In ogni ambito di ciascun servizio pubblico, dalla sanità alla scuola, al welfare, grazie al “meccanismo della spesa storica” (secondo cui l’erogazione dei fondi verrà data non in base alle reali necessità, bensì in base alla spesa dell’anno precedente), si creerà una balcanizzazione del Paese. In tal modo, il gap fra il Nord e il Sud dell’Italia diventerà comunque più profondo e tragico; basti pensare all’operato del governo fascioleghista che, pur dovendo destinare una quota del 65% del PNNR al Sud secondo le indicazioni di Bruxelles, ha prima abbassato l’asticella al 40%, per passare successivamente al 16%, come da documento inviato alla Commissione UE. Una decisione, questa, approvata con il silenzio connivente e complice dei politici meridionali. Il martoriato e vituperato Mezzogiorno, additato come parassita dal laborioso Nord, sarà consegnato definitivamente alle rendite parassitarie eredi di quelle feudali, alla mafia e alla camorra.

 

  1. Dalla devastazione della sanità a quella della scuola e dell’università

Se la Sanità pubblica, già in gravi difficoltà, non sopravviverà, altrettanto a rischio risulta il settore della scuola pubblica. Con la riduzione del budget annuale della maggioranza delle regioni, si determina un ulteriore riduzione dell’offerta formativa e una maggiore disuguaglianza tra Nord e Sud.

L’autonomia differenziata colpisce il cuore dell’istituzione scolastica; mette anche all’angolo il ruolo del parlamento in merito all’indicazione degli indirizzi generali sull’istruzione perché lascia alle regioni la definizione non solo dei livelli minimi delle prestazioni, ma anche di programmi, criteri di valutazione e contratti del personale della scuola, con la conseguenza di differenze sostanziali tra le regioni. Le regioni controllate direttamente dal grande capitale finanziario del Nord e del Centro-Nord destineranno sempre più risorse alle scuole paritarie, private o confessionali a scapito delle scuole pubbliche e privilegeranno ulteriormente, in generale, un format aziendalistico dell’istruzione, direttamente rispondente agli interessi delle grandi imprese e delle banche. Nelle regioni del Sud e delle Isole, già storicamente caratterizzate da una forte impronta coloniale e da uno storico ritardo economico, non si potranno più garantire servizi scolastici essenziali. Anche le università del Sud a forte emigrazione giovanile e con alto tasso di disoccupazione rischiano la chiusura per mancanza di fondi e di studenti, a causa di tasse sempre più alte che le famiglie non possono sostenere. Le condizioni dei lavoratori della scuola peggioreranno ancora; è previsto che i dipendenti statali passino alle regioni perdendo così anzianità di servizio e benefici derivanti dal contratto nazionale: in altri termini ci sarebbe una riduzione di stipendi e pensioni, maggiore precarietà e flessibilità. Con i contratti regionali si avranno aumenti di orario, tagli degli organici, drastiche limitazioni alla mobilità e alla libertà d’insegnamento: una realtà già presente in Alto Adige grazie all’accordo raggiunto dai sindacati consociativi e all’inerzia del personale scolastico. Gravissima la soppressione della libertà d’insegnamento (garantita formalmente dalla Costituzione) funzionale al mantenimento di uno status quo fondato su classismo e repressione, che mira a supportare la formazione e il mantenimento di un regime fondato sulla forza, sulla repressione e sulla discriminazione delle classi subalterne. In effetti, lo spostamento di risorse verso Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, essendo a carico sia del Sud sia del bilancio pubblico nazionale, poiché l’80% del carico fiscale ricade su lavoratori dipendenti e pensionati, interesserà anche i cittadini del Nord.

 

  1. L’autonomia differenziata e la ridefinizione dell’ “Europa imperialista”

Uno degli obiettivi dell’autonomia differenziata è quello di rafforzare il capitale finanziario delle regioni del Nord, in modo che possano rispondere alla necessità economica e politica della costituzione di un nucleo forte connesso ad una prossima ridefinizione dell’UE sotto la diretta gestione della Germania, in un’Europa a due velocità. Necessità verso cui convergono progressivamente nel nostro paese sia i nazionalisti euroscettici, tra cui varie forze rosso-brune e della “sinistra radicale”, sia le cosiddette forze europeiste come il PD. Siamo in presenza di un processo di costruzione di una “nuova” Europa, dove le regioni italiane con il Pil più alto (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna) andranno sempre più ad operare nell’orbita dell’imperialismo tedesco riprone con differente configurazione, un ipotetico asse con la Germania. Progetto che prevede, per le regioni più ricche del Nord e del Centro-Nord del nostro paese, la concentrazione di maggiori risorse anche sul piano del trattenimento del gettito fiscale in loco e su quello relativo all’eliminazione dei così detti lacci e lacciuoli, che l’ordinamento unitario della “carta costituzionale” tenderebbe ad imporre (fra questi i contratti collettivi di lavoro e il valore legale del titolo di studio).  In questo quadro, relativo all’accentuazione della concorrenza e delle contraddizioni tra l’imperialismo francese e quello tedesco, si inquadra anche la riforma che in Francia ha ridotto le regioni da 22 a 13, con lo scopo di raggruppare le regioni troppo piccole in modo da poter affrontare adeguatamente le attuali “sfide economiche”.

A dimostrazione della situazione diversa e per certi versi opposta relativa all’operato del capitalismo monopolistico finanziario francese e di quello del Nord Italia, va rilevato come nella riforma francese delle regioni lo “Stato centrale” stabilisca un incremento uniforme delle competenze attribuite alle regioni, mirante a garantire omogeneità e coesione all’economia e alla gestione dei servizi sociali pubblici; al contrario, nel disegno dell’autonomia differenziata o, meglio, della “secessione dei ricchi”, è insita la riproposizione di una gestione semi-coloniale del Meridione e delle Isole (senza peraltro promuovere e valorizzare istanze democratiche di effettiva de-centralizzazione), oltre che l’effettiva cancellazione dei diritti civili e sociali che la Carta Costituzionale prevede come “diritti universali”.

 

  1. Una risposta all’autonomia differenziata che vada oltre il movimentismo

A questo progetto classista e capitalista si dovrà rispondere con una lotta di classe, anticapitalista e antifascista, costruendo un fronte popolare rivoluzionario unitario con l’esclusione dei partiti riformisti e revisionisti. Pur sottolineando l’importanza delle lotte di lavoratori e lavoratrici contro i diretti effetti economici dell’autonomia differenziata, risulterebbe politicamente fatale fermarsi a questo. È bene aver presente che il blocco borghese e reazionario dominante, che ha scelto di procedere verso il fascismo, l’espansione imperialista e la diretta partecipazione alla guerra inter-imperialista, ha il controllo dello Stato, ossia, in primo luogo delle forze armate e degli apparati repressivi, e in secondo luogo dei grandi partiti di potere, dei sindacati collaborazionisti, della Chiesa, dei mezzi d’informazione, degli apparati egemonici e delle forze opportuniste della falsa sinistra, e  certamente non cederà questo suo potere senza usare una resistenza molto feroce. Per cui è necessario andare ben oltre un movimentismo estemporaneo, di breve durata e destinato ad essere soffocato sul nascere. Per la costruzione di un movimento rivoluzionario di massa, la mobilitazione spontanea, anche se fondamentale, non è sufficiente. C’è la necessità di un’organizzazione politica comunista che abbia un chiaro programma di Democrazia Popolare sulla Via del Socialismo e che sia in grado di organizzare ed orientare la lotta.

 

  1. Le responsabilità della falsa sinistra “socialfascista” e dell’opportunismo

Dopo l’approvazione al Senato del disegno di legge sull’autonomia differenziata, Tv e stampa hanno dato rilievo all’immagine dei senatori del Pd, che sventolavano il tricolore come protesta per l’approvazione della legge. In realtà, questa falsa “sinistra” (compresa quella pseudo radicale che ha protestato superficialmente contro l’autonomia differenziata) è la stessa che ha riformato il Titolo V della Costituzione e ha svolto un ruolo centrale nei processi di fascistizzazione dello Stato (riforme costituzionali, leggi speciali contro il terrorismo e  contro il conflitto politico e sociale), aprendo così la strada all’attuale nesso, combinato tra l’attuazione del federalismo reazionario (autonomia differenziata) e il premierato. Non solo la salda maggioranza di governo caratterizzata dal blocco di estrema destra delle forze fasciste (FdI, Lega, FI), ma anche le forze populiste reazionarie (M5S), quelle  del centro-sinistra (PD) e di altri raggruppamenti di “sinistra” hanno operato  per decenni al servizio della strategia e degli orientamenti di fondo del blocco economico e politico dominante, costituito dal capitale industriale-finanziario (con la diretta influenza del capitale internazionale, USA e Germania in primo luogo) e dall’abnorme estensione e presenza delle grandi rendite vecchie e nuove. Un blocco indissolubilmente fuso con la macchina statale burocratico-militare (apparati repressivi, servizi segreti, esercito, complesso industriale-militare, ecc.) e parzialmente dipendente, sotto il profilo della politica internazionale e spesso di quella interna, dagli USA e dai principali paesi europei. Tale blocco, di fronte ad una irreversibile crisi economica ed egemonica dilagante, ha sempre più posto all’ordine del giorno la fascistizzazione dello Stato, la corporativizzazione della società e delle istituzioni e lo sviluppo dell’iniziativa imperialista e guerrafondaia.

 

  1. L’autonomia differenziata come forma di federalismo corporativo e fascista

La cosiddetta autonomia differenziata non rappresenta altro che il tentativo di sancire il progetto corporativo di frazionamento del paese in aree economiche e politiche gestite in modo differenziato sotto il profilo dei servizi sociali di pubblico interesse, sotto quello della stessa legislazione relativa ai diritti dei lavoratori e rispetto alla gestione di aspetti essenziali dell’ “ordine pubblico”. Un corporativismo che vorrebbe annientare ogni residuo formale democratico-liberale relativo alla centralità del funzionamento e dei ruoli di una rappresentanza parlamentare e promuovere una gestione amministrativa e istituzionale in cui la formazione dei processi decisionali sia funzionale al dilagare degli “interessi privati”. Ossia all’asse diretto, senza più mediazioni relative al ruolo delle istituzioni anche solo formalmente rappresentative, tra il grande capitale e gli interessi di strati di piccola e media borghesia privilegiata, tra cui estese rendite che, sotto l’egemonia dello stesso capitale monopolistico, aspirano a comprimere al massimo condizioni di lavoro e redditi del proletariato e delle masse popolari.  Lo svolgimento di un ruolo di mediazione tra le direttive del blocco dominante da un lato e  i  diversi partiti di potere, ricade quindi sempre più nelle mani di un nugolo di “esperti” e di “tecnici”, che si sostituisce ai vecchi e logori meccanismi propri delle istituzioni rappresentative del parlamentarismo borghese. Questi “tecnocrati” operano sul piano amministrativo, finanziario, manageriale, interfacciando i diversi livelli del governo locale (conferenze Stato-regioni, regioni, provincie, comuni, ecc.) e con le varie associazioni industriali, le banche, i sindacati reazionari, i consorzi cooperativi, le università, le istituzioni ecclesiastiche, i centri intellettuali, ecc. Tutto questo si traduce in una profonda destrutturazione dell’ordinamento amministrativo costituzionale, che porta ormai ad un’aperta promozione della corruzione, della grande criminalità e della mafia. Il tutto si coniuga con l’emergere di logiche caratterizzate da un assoluto arbitrio e con una brutale e dispiegata pratica poliziesca. Cosa quest’ultima ben evidenziata, tra l’altro, dalle continue denunce dei brutali pestaggi o delle vere e proprie torture provenienti da caserme e commissariati.     

 

  1. La complementarietà tra premierato ed autonomia differenziata nel regime fascista in formazione

Risultano quindi ingannevoli le tesi che sostengono che il premierato in via di gestazione (che continua e sancisce un salto di qualità lungo la strada delle varie riforme istituzionali reazionarie) e l’autonomia differenziata, che è in via di approvazione definitiva (dopo vari decenni preparatori che ne hanno già costruito e sancito ampi presupposti), siano prospettive tra loro contradditorie. Ossia, espressione di progetti e concezioni di Stato e di società diverse, provenienti da forze a presunta vocazione federalista (Lega), a fronte di quelle sfegatatamente orientate in senso centralista (FdI e FI). Queste tesi sono solo il tentativo di forze come il PD, la CGIL e vari settori della sinistra radicale, di occultare le proprie responsabilità e il carattere reazionario e socialfascista delle proprie politiche portate avanti sino all’attuale situazione.

In realtà, il federalismo reazionario si coniuga oggi bene con il tentativo di dar vita ad un regime. Ossia, ad un esecutivo alle dirette dipendenze del grande capitale e in generale del blocco dominante, che operi all’interno delle direttrici strategiche della proiezione imperialista e guerrafondaia, e dello schiacciamento politico ed economico del proletariato e delle masse popolari.

 

contro l’autonomia differenziata e il premierato

contro il regime fascista in formazione

contro l’imperialismo italiano, USA e tedesco per l’indipendenza nazionale

per un movimento rivoluzionario per il rilancio economicoo e politico del Mezzogiorno e delle Isole

per una nuova resistenza

per una democrazia popolare sulla via del socialismo

 

PER LA DEMOCRAZIA POPOLARE

www.perlademocraziapopolare.com

perlademocraziapopolare@protonmail.com

 

 

 

 

 

 

[i] Materie di potestà legislativa esclusiva statale: organizzazione della giustizia di pace (art. 117, secondo comma, lett. l), Cost.); norme generali sull’istruzione (art. 117, secondo comma, lett. n), Cost.); tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali (art. 117, secondo comma, lett. s), Cost.).