Proponiamo per il dibattito questo interessante articolo tratto dal sito “lottaculturaleproletaria.com”. 

Secondo alcuni interpreti del post-moderno che si richiamano a questa particolare concezione del mondo, due sarebbero stati gli eventi che hanno maggiormente scosso il pensiero filosofico del ‘900: la “seconda guerra mondiale” e il crollo del comunismo [2] rappresentato, anche simbolicamente, dalla caduta del muro di Berlino”. La portata storica di questi due eventi è stata tale, a detta di tali interpreti, da aver scombussolato tutto il mondo accademico filosofico.

Tali eventi avrebbero generato una disillusione generale verso quelle che il filosofo francese Lyotard ha definito Metanarrazioni, ossia, a detta di gran parte degli autori che si rifanno al post-moderno, quelle sintesi teoriche attraverso cui la modernità ha cercato di offrire una legittimazione filosofica alle diverse e spesso divergenti visioni e prospettive politiche [3].

A detta degli stessi autori, tali “metanarrazioni” in gran parte, come nel caso di Hegel e Marx, o dell’ideologia del comunismo, “pretendevano” di dare una spiegazione della realtà conforme alla sua natura oggettiva. Da cui la teoria di fondo dei post-modernisti della pretesa autoritaria e truffaldina di questa concezione da loro definita come metafisica. Ricollegandosi a Hume, alla parte più reazionaria della filosofia di Kant e soprattutto alla linea Nietzsche-Heidegger, questi autori postulano che il mondo è espressione di lotte e conflitti caratterizzati dalla volontà di potenza e quindi di per sé privo della proprietà dell’oggettività (Nietzsche) oppure che è caratterizzato dalla tendenza alla decadenza ossia dall’ “oblio dell’essere”, il quale per definizione si sottrae a una conoscibilità che sarebbe solo una manifestazione della stessa tendenza all’oblio (Heidegger).

Ma senza un mondo oggettivo non c’è nemmeno la possibilità di una spiegazione razionale del mondo, quindi non è possibile elaborare una vera e propria Filosofia. Quello che quindi si ottiene attraverso la frequentazione del pensiero postmoderno, in realtà, è solo una nuova riproposizione di un individualismo mistico irrazionale che affonda le sue radici in “filosofi” come Nietzsche e Heidegger.

In nome del superamento della Metafisica, il pensiero postmoderno pone un accento particolare sulla concezione, la logica e il metodo dell’“interpretazione”. Tutto questo avviene sulla scia della famosa massima Nietzschiana “non esistono fatti [4], ma solo interpretazioni, e anche questa è un interpretazione”. In nome delle interpretazioni ci si oppone alla Metafisica totalizzante, la quale appunto sarebbe responsabile dei crimini del nazismo e del comunismo. Ovviamente, pur all’interno di questa visione comune ultra-reazionaria e anticomunista, anche quest’opposizione al pensiero della Metafisica e alle sue supposte conseguenze politiche è declinata diversamente a seconda dell’orientamento di estrema destra, liberale reazionario o revisionista e anarchico dei diversi teorici del post-moderno. L’estrema destra rosso-bruna, spesso coincidente con la cosiddetta “nuova destra”, in effetti critica il nazismo e il fascismo in quanto “metafisici” solo per poter proporre una sorta di post-fascismo e post-nazismo più sofisticati ed efficaci, pensati in prospettiva come vincenti. La svolta heideggeriana dopo la II guerra mondiale dunque è tutto fuorché una rinuncia al nazismo.

Heidegger non rinuncia quindi a “quell’essere” su cui poggia l’intera sua costruzione intellettualistica. Se prima l’Essere si manifestava nel suo modo più autentico nel nazional-socialismo, ora, dopo la II guerra mondiale e la sconfitta del nazifascismo, Heidegger scopre che in effetti ciò non sarebbe adeguatamente avvenuto, da cui il ritorno al ripensamento delle forme con cui “l’essere può manifestarsi” che, appunto, altro non è se non il tentativo di fondare, in modo sofisticato, un ultra nazismo.

Cosa è l’Essere? Il modello proposto da Heidegger relativo alla scissione e opposizione tra cosiddetta “ontologia” e “mondo ontico”, non solo è il classico fondamento dell’idealismo, ossia di qualsiasi tipo di idealismo dove la “scissione” di principio tra “mondo empirico” ed “essenza” ritorna feticisticamente come un’essenza spiritualizzata produttrice del “mondo empirico”, ma è il fondamento di ogni idealismo soggettivo dove “l’essenza diventa soggetto in forma mitica”. Così Heidegger costruisce sistematicamente, certo in modo intellettualistico, quell’apparato concettuale assunto poi, oltre che da pseudoscienze come la psicanalisi lacaniana, anche da liberali reazionari, revisionisti, riformisti e movimentisti.

Una delle declinazioni che si fonda sull’assunzione del modello heideggeriano sulla quale è necessario soffermarsi è quella data da Vattimo: “L’Esserci nella sua ricerca coglie che l’Essere è “amore fraterno” e che politicamente parlando è “Comunismo”. In questo modo il “comunismo di Vattimo” è però il “comunismo ermeneutico”[1].

Nel caso del Comunismo Ermeneutico, l’Essere opera contrapponendosi a qualsiasi pretesa di conoscenza e sistematizzazione teorico-scientifica. Il Comunismo Ermeneutico di Vattimo è anti-totalitario, ossia si contrappone alla Metafisica o, meglio, si pone come alternativo al Comunismo Metafisico affermatosi con la rivoluzione d’Ottobre, con la rivoluzione cinese, con i punti più alti conseguiti dallo sviluppo della storia dell’umanità raggiunti con la costruzione del socialismo in URSS e soprattutto in Cina con la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria.

Questo “Comunismo” è una forma ideologica della lotta contro la tendenza alla rivoluzione proletaria, è revisionismo, è una forma di rosso-brunismo.

Il “comunismo ermeneutico” non ha né la necessità, né tantomeno la pretesa di proporsi come “visione scientifica”, come teoria guida della trasformazione rivoluzionaria del mondo e dei processi di transizione al comunismo. Il “comunismo ermeneutico” proposto da Vattimo si attiene all’Essere e come tale rifugge dalla “concezione Metafisica” (Sic!) della conoscenza, della teoria e del circuito relativo a teoria rivoluzionaria e prassi rivoluzionaria.

Ma quante altre possibili interpretazioni ci sono dell’Essere? Perché tale interpretazione dovrebbe essere privilegiata rispetto alle altre, come per es. quella che portava Heidegger direttamente a ergersi come rappresentante, sul piano ideologico-culturale, del nazional-socialismo e successivamente del post-nazismo e del post-fascismo? Con quale criterio Vattimo pensa di poter stabilire, una volta assunto il modello di Heidegger, che la sua interpretazione dell’Essere sia migliore o effettivamente diversa da quella di Heidegger?

Vattimo ha la pretesa di spazzare via ogni “residuo” metafisico nell’ideologia comunista. Ma con cosa si sostituisce questo “residuo” che alla fine si dilata all’intera ideologia del marxismo-leninismo-maoismo? Con la Teologia reazionaria. Se per Heidegger l’Essere rappresentava la costruzione di un significante vuoto, poiché di fatto l’Essere, in quanto per definizione non rappresentabile sul piano logico-razionale, si riduce a un tale significante, che di volta in volta poteva rimandare al mito di un’originaria stirpe artefice del processo costituente della nazione tedesca che si andava autenticamente rivelando e manifestando nell’affermazione del nazional-socialismo, l’essere di Vattimo si manifesta nel depotenziamento dell’ideologia comunista, ossia nella sua trasformazione in un putrido riformismo-reazionario, in una variante appunto del rosso-brunismo.

E qui il metodo di Vattimo riprende quello di Heidegger, si tratta di cogliere i segni del manifestarsi, o meglio del presunto disvelarsi dell’Essere. Il nostro compito è quello, heideggerianamente, di porci in ascolto. Solo chi si è liberato però dai residui del “comunismo metafisico” può cogliere tali manifestazioni ed essere così autenticamente comunista (Sic!). Il “comunismo ermeneutico” di Vattimo è quindi, come la psueudo-filosofia heideggeriana, una visione elitaria, aristocratica. Mentre la dialettica materialistica propone una filosofia guida per la conoscenza e la trasformazione della realtà che non può che essere una filosofia per il proletariato e per le masse popolari, la “filosofia” oscura e criptica, ma non per questo pragmaticamente inefficace, di Vattimo si rivolge agli intellettuali borghesi, mira a proporsi come una filosofia base per la pratica politica.

Vattimo si fa portatore di una filosofia del “comunismo” come significante vuoto. In forme diverse la stessa operazione di un vecchio troskijsta-heideggeriano come Laclau[5]. Il metodo della costruzione dei significanti vuoti come base per la prassi politica veniva definito da Platone, che certo non usava simili linguaggi, come “sofistica”. L’idealista oggettivo Platone, il quale oltre che a combattere il materialismo, pensava anche, sulla base di una sua tendenza alla dialettica, a combattere strenuamente l’idealismo soggettivo dei sofisti, evidenziava dunque come la sofistica e la manipolazione del popolo fossero indissolubilmente connessi.

Il metodo del significante vuoto è oggi per esempio la base anche del “populismo di sinistra”. Così quello che in un certo istante è designato sul piano del significante dal termine “proletariato”, in un istante immediatamente successivo può diventare “popolo” in senso generico e in un istante ancora successivo il popolo può diventare “nazione”.

In Comunismo Ermeneutico, Vattimo scrive: siamo “ben consapevoli che Marx, Lenin o chiunque dei loro successori teorici o pratici non hanno mai risolto il problema della completa “realizzazione” di una società comunista…Mentre non possiamo immaginare un mondo in cui il comunismo sia completamente realizzato, non possiamo nemmeno rinunciare a questo ideale come un principio regolativo e ispiratore per le nostre decisioni concrete.”

Vattimo propone qui il solito gioco relativo all’insuperabilità della pretesa dicotomia tra cosiddetto momento “ontico” e momento “ontologico” che si articolerebbe da una lato “nella concreta effettiva impossibilità di realizzare il comunismo” e, dall’altro, “nell’impossibilità di rinunciare alla tendenza alla sua realizzazione”.

È chiaro, soprattutto nell’ultima frase, che il Comunismo Ermeneutico di Vattimo non è altro che una forma di “revisionismo” che nega appunta l’impossibilità di un’effettiva transizione al comunismo. Il proletariato può solo continuamente tendere alla sua realizzazione, ma nel momento in cui pretendesse di affermarla realmente cadrebbe inevitabilmente, sulla base di questo schemetto intellettualistico, nel farsi portatore di una Metafisica totalizzante che finirebbe quindi per travolgere e annientare la stessa tendenza al comunismo.

Vediamo ora dove l’“Essere” di Vattimo, il “comunismo ermeneutico” si stia manifestando come tendenza appunto all’affermazione di un principio regolatore che per altro sarebbe irraggiungibile per definizione.

Chi dunque si farebbe portatore ed espressione, manifestazione di questo principio regolatore?

Nei capitoli successivi Vattimo individua come esempio di tale principio il cosiddetto socialismo del XXI secolo, il quale non è altro che una forma reazionaria di “socialdemocrazia” con caratteristiche Latino- Americane. Quindi in sostanza il proletariato dovrebbe accodarsi ai fautori di questo socialismo, che di socialista non ha nulla. Non basta nazionalizzare qualche asset strategico e fare dei programmi sociali per parlare di socialismo.

Ma nell’Ermeneutica, dove si lavora alla costruzione di significanti vuoti che assumono le denominazioni può differenti, vale tutto: non diventa infatti una legittima interpretazione il fatto che paesi come il Venezuela siano concepiti come socialisti?

Il fatto che sia un’interpretazione non fondata su alcuna base scientifica e del tutto contrapposta alla concreta esperienza di vita delle masse popolari venezuelane, ovviamente poco importa ai nostri esegeti. Il criterio della scientificità e della pratica della lotta di classe è sostituito con quello dell’autenticità. Ma come possiamo definire qualcosa come autentico? Su quali criteri ci basiamo? A queste domande non vi è ovviamente una risposta razionale. A questo punto è possibile allora parlare di Filosofia? Al massimo possiamo parlare di Esegesi. E gli Ermeneuti, questi esegeti dell’Essere, sono tuttalpiù paragonabili ai Teologi. Varrebbe la pena allora chiamare le cose con il loro vero nome. L’Ontologia dell’Essere non è altro che una Religione dell’Essere con tanto di preti, profeti e esegeti.

Una tale religione serve a formare quadri intellettuali capaci di operare pragmaticamente in funzione di una politica determinata, una politica dove al proletariato sia permesso aspirare al comunismo, ma sia vietato, perché metafisico-totalitario, lottare con l’obiettivo di realizzarlo.

Vattimo non attacca solo il Comunismo, attacca soprattutto la rivoluzione proletaria, l’espressione più alta, estesa e concentrata della lotta di classe, la violenza rivoluzionaria come levatrice della Storia. Degno continuatore, in questo, dei suoi maestri, da Nietzsche a Heidegger.

[1] L’articolo è una critica del testo di Vattimo “Comunismo ermeneutico. Da Heidegger a Marx” (ed.Garzanti, 2014). Tale critica risulta del tutto attuale nel momento in cui il testo di Vattimo evidenzia concezioni opportuniste e anticomuniste tutt’ora pienamente esistenti e operanti in Italia nel campo dei movimenti di opposizione, del sindacalismo alternativo e dell’estrema sinistra.

[2] Così infatti una serie di teorici del post-moderno presentano il regime revisionista moderno affermato nell’URSS e in una serie di partiti cosiddetti comunisti dopo il colpo di Stato reazionario seguito alla morte di Stalin che ha portato alla restaurazione del capitalismo.

[3] Quindi in particolare i ‘grandi sistemi filosofici della modernità come l’hegelismo e il marxismo’.

[4] È forse vero che non esiste una realtà oggettiva? Forse che non esiste l’imperialismo come modo di produzione fondato sullo sfruttamento e sull’oppressione politica degli operai, delle masse popolari e dei popoli oppressi?

[5] Laclau, La ragione populista.