A distanza di 12 anni dal referendum, per mezzo del quale 26 milioni di italiani manifestarono la volontà che l’acqua restasse un bene di natura esclusivamente pubblica, la volontà popolare non è stata rispettata. Il referendum conteneva un’illusione di fondo, quella che il monopolio statale avrebbe potuto garantire le larghe masse popolari dall’uso dell’acqua come strumento di estorsione di nuove tasse al servizio della burocrazia statale, delle rendite e delle imprese, ma nello stesso tempo l’esito positivo dello stesso referendum rifletteva l’aspirazione a una gestione di tale risorsa in funzione di interessi sociali e collettivi.

 

Il referendum del 2011 si riproponeva l’estromissione dei privati dalla gestione dell’acqua, ma tutti i governi che si sono succeduti hanno sempre agito per una sua privatizzazione. Già con il decreto Ronchi nel 2009 si era sancita la privatizzazione dell’acqua potabile seguita dal tentativo, da parte dell’ex ministra Marianna Madia (PD), di affidare la gestione dei servizi a rete e, quindi anche l’acqua, a società per azioni, reintroducendo in tariffa i profitti per i gestori. Il mancato rispetto della volontà dei cittadini la dice lunga su quanto i vari governi (Berlusconi, Prodi, Renzi, Letta, Monti, Draghi) siano i servitori dei centri del potere reale, veri detentori del potere politico ed economico, insediati nei punti strategici della linea di congiunzione tra il capitale finanziario, i grandi monopoli e l’apparato Statale.

 

Un dato che evidenzia quanto sia stata connivente quella parte della sedicente sinistra, che non ha opposto alcuna resistenza o addirittura ha avallato i progetti di privatizzazione. Da non dimenticare che con il decreto Sblocca Italia, Matteo Renzi si è adoperato per la privatizzazione dell’acqua e che nell’agosto del 2011 Mario Draghi, allora governatore della Banca d’Italia, insieme al presidente della Banca centrale Europea Jean Claude Trichet, scrisse una lettera al Presidente del consiglio Berlusconi, indicando come necessarie e ineludibili le privatizzazioni su larga scala, con particolare riferimento ai servizi pubblici locali. Il governo presieduto da Draghi (definito governo tecnico e di fatto governo di banche e finanza) sostenuto da Lega, Pd, 5 Stelle e Forza Italia, varò un disegno di legge sulla concorrenza e il mercato, in cui s’impone ai Comuni di dare in concessione i servizi pubblici locali e la gestione dell’acqua pubblica. Tutta la nostra classe politica, serva dei padroni e del grande capitale monopolistico, ha potuto annullare il risultato del referendum, dal momento che in Italia sono concessi referendum di natura abrogativa per gli esiti dei referendum consultivi che devono essere sanciti da un’apposita legge. Legge che il Parlamento non ha ovviamente emanato.

 

Dietro l’apparente conflitto fra partiti al governo e partiti all’opposizione, è presente il pensiero dominante cosiddetto “liberista”, al servizio del grande capitale monopolistico a base nazionale e multinazionale, che favorisce la convergenza su una stessa linea politica con il fine di accentuare lo sfruttamento e distruggere i diritti delle classi subalterne svantaggiate, la cui unica risorsa rimane la costruzione di un partito che riunisca le forze democratiche, socialiste e comuniste in un fronte unico per uno Stato di Democrazia Popolare.

 

La questione della gestione dell’acqua è oggi parte della lotta per la spartizione del mondo tra le varie potenze imperialiste e per l’accentuazione dello sfruttamento e della repressione sui popoli oppressi, ossia sui paesi arretrati economicamente, caratterizzati da forti sopravvivenze semi-feudali, che rappresentano oggi la maggior parte dei paesi del mondo.

Se è vero che il ventesimo secolo è stato caratterizzato da guerre combattute per l’affermazione degli interessi economici, finanziari e politici delle varie potenze imperialiste, tra cui l’accaparramento dei mercati e delle materie prime, è altrettanto vero che l’acqua, bene primario di importanza vitale al pari dell’aria, sarà una risorsa che sempre più sarà oggetto, come già avviene oggi in alcuni paesi del mondo, di nuove sanguinose guerre reazionarie.

 

Banche, fondi finanziari, grandi industrie, grandi imprese commerciali e di servizi, ecc. operanti in forma monopolistica e legati alle macchine burocratico-militari dei vari Stati imperialisti, che intervengono con la repressione e la guerra al loro servizio, prendono il controllo o deviano proprio i corsi d’acqua, sottraendoli alle esigenze delle comunità locali o d’intere nazioni. Questo fenomeno detto water grabbing trova un forte legame con il land grabbing e ha già causato conflitti in Medio Oriente, America Latina, Africa e Asia (secondo il rapporto dell’Unesco tra il 2010 e il 2018 si è arrivati a 263 conflitti).

 

Per comprendere quanto l’acqua sia oggetto di imprese guerrafondaie, è sufficiente rilevare le tensioni che investono, a tale proposito, territori e popolazioni sia a livello locale che globale.  Quelle più rilevanti riguardano i bacini idrici internazionali e i fiumi dal corso lungo, con una grande portata d’acqua, che attraversano più paesi. La posizione geografica all’interno del bacino acquista importanza notevole perché i paesi a monte condizionano sia la qualità che la quantità dell’acqua che raggiunge i paesi a valle. Si pensi ai fiumi Colorado, Rio Grande, Danubio, Mekong.

 

Il Colorado nasce negli Stati Uniti e, dopo aver attraversato Colorado, Utah, Arizona e California, sfocia, trasformato in torrente colmo di melma e di detriti, nel Golfo della California in territorio messicano. Causa della riduzione della portata del fiume è la costruzione della diga Hoover. Da qui il conflitto con la popolazione messicana della zona. Secolare è poi il contrasto tra l’imperialismo USA e le masse popolari e contadine per lo sfruttamento del Rio Grande, che segue il confine con il Messico per 2000 km.

 

In Cina, la recente costruzione di una serie di dighe nel corso superiore del fiume Mekong sta sta determinando crescenti contraddizioni con la popolazione contadina delle zone e dei diversi paesi attraversati dal corso del fiume a causa della conseguente riduzione della portata d’acqua che si accompagna al suo elevatissimo grado d’inquinamento, dovuto agli innumerevoli scarichi industriali che a volte rendono problematico l’utilizzo delle acque  per le attività agricole.

 

Lo sfruttamento intensivo e unilaterale di una risorsa condivisa tende ad originare un degrado irreversibile della fonte idrica oggetto di contesa. Ne è esempio il lago d’Aral, quarto lago al mondo per estensione al confine tra Kazakistan e Uzbekistan che con l’affermazione del socialimperialismo russo  che ha deciso di procedere con la diversione dei fiumi che lo alimentavano, ha registrato:1) un crescente abbassamento del livello delle falde sotterranee, 2) la scomparsa delle oasi attorno al lago, 3) ampi fenomeni di contaminazione della terra e dell’acqua dovuti a fertilizzanti e pesticidi usati per la coltivazione del cotone, 4) un tasso di salinità quadruplicato, compromettendo flora e fauna, con la scomparsa delle zone umide e la desertificazione di quell’area, con conseguenti enormi danni per le condizioni di vita  delle masse popolari e contadine locali.

 

Le multinazionali dei paesi imperialisti, ossia i grandi monopoli industriali-finanziari a base prevalentemente nazionale che incentrano la propria iniziativa all’esterno dei confini del proprio paese,  operano distruggendo in determinati casi, interi insediamenti umani costringendo le popolazioni a traferirsi in massa, per creare grandi dighe, bacini di stoccaggio dell’acqua. La costruzione della diga di Theri (India) nel 1950 ha causato la scomparsa di 40 villaggi e, nonostante la ribellione diffusa che ne è conseguita, ad oggi lo Stato reazionario non ha modificato i suoi progetti di “sviluppo” al servizio dell’imperialismo, sviluppo di distruzione dell’ambiente, del diritto all’acqua, del diritto alla vita.

 

La Cina annovera la diga delle Tre Gole, iniziata nel 2003 nel quadro dell’avvenuta restaurazione del capitalismo, con la più grande capacità di generazione idroelettrica al mondo, edificata sul fiume Yangtze (fiume azzurro). La sua costruzione ha causato il trasferimento forzato di un milione e quattrocentomila persone e la sommersione di 116 città. Da evidenziare che ingegneri, geologi, biologi avevano segnalato inutilmente una potenziale minaccia per il rischio di calamità idrogeologiche che avrebbe potuto provocare.

 

Siamo, a causa del dominio su scala globale dell’imperialismo, in presenza di una crisi idrica senza precedenti che si ripercuote in primo luogo sulle popolazioni ei paesi oppressi, prevalentemente contadine, ma che in secondo luogo coinvolge a vari livelli anche le masse popolari dei paesi imperialisti oltre che contribuire, su scala generale alla devastazione climatica ed ambientale con il paradossale aumento delle situazioni di siccità e l’ampliamento delle zone aride.

 

Queste contraddizioni portano anche a fatti come quelli relativi ai tragici eventi in Sud Sudan del 2017 dove alcuni settori della popolazione, a causa di queste nuove forme di guerre tra poveri fomentate dall’imperialismo, si sono scontrate tra loro per la poca acqua rimasta nei pozzi.

 

Non sono mancate e sicuramente proseguiranno in forme sempre più radicali le proteste come già avvenuto in Bolivia, Cile, Chiapas. Proprio in Chiapas , la multinazionale Bonafont (gruppo Danone) per ben 29 anni ha estratto ogni anno un milione e 600000 litri di acqua al giorno sottraendola alla comunità locale, una vera e propria rapina. Per porre fine a tale delitto nel 2022, mentre in Europa si attendeva l’arrivo della seconda delegazione zapatista, alcune comunità nahuas organizzate come Pueblos Unidos, decisero di chiudere le installazioni della Bonafont. La repressione è stata, nell’occasione, particolarmente efferata.

 

Appare evidente la competizione in corso su scala globale intorno all’acqua così come le contraddizioni sempre più acute che essa suscita in particolare nei paesi oppressi. Da una parte le popolazioni che reclamano il diritto all’acqua, alla vita, e lottano perché tale diritto venga riconosciuto, dall’altra le grandi multinazionali sostenute dalle forze armate e dalle forze repressive varie potenze imperialiste, alleate delle classi dominanti reazionarie compradore, burocratiche e semifeudali di tali paesi, che sull’acqua vogliono aumentare a dismisura i propri profitti appropriandosi degli acquiferi e delle fonti. Anche inaugurando nuove forme di contratti finanziari, simili ai derivati – i cosiddetti futures –, legate alle variazioni del prezzo dell’acqua per giocare in Borsa con la vita delle persone. La quotazione in borsa dell’acqua è passata in un silenzio assordante confermando ancora una volta, se fosse necessario il peso oppressivo di un sistema  basato persino sullo sfruttamento di risorse vitali primarie per le larghe masse popolari. In questo caso anche delle risorse idriche soprattutto in Paesi arretrati alimentando così, anche sotto questo profilo, un ‘neocolonialismo’ che aggrava ulteriormente le miserrime condizioni delle classi popolari e la difficoltà da parte di quest’ultime a condurre una lotta che garantisca il diritto ad usufruire dell’acqua dei propri territori.

 

Per comprendere cosa comporti la quotazione in Borsa dell’acqua è sufficiente leggere ciò che riporta il sito del Nasdq: “ le transazioni sul mercato comportano la vendita o l’affitto di un’ampia gamma di partecipazioni nell’acqua. Un diritto sull’acqua autorizza il proprietario a pompare acqua da fiumi, torrenti e bacini idrici sotterranei. I diritti sull’acqua sono la categoria di interesse di proprietà comunemente scambiata. Altri diritti comunemente scambiati includono azioni in banche delle acque sotterranee, diritti di stoccaggio in serbatoi di superficie e diritti sulle acque reflue trattate”.

Rappresentando le acque sotterranee circa il 99% di tutta l’acqua dolce liquida sulla Terra, si evince che :1) esse sono fondamentali per la sicurezza idrica e alimentare, per la lotta alla povertà e per combattere i cambiamenti climatici, 2) la dipendenza dalle acque sotterranee aumenterà, 3) Il dissennato sfruttamento dell’acqua da parte delle imprese monopolistiche mette a rischio la sopravvivenza di molti villaggi.

 

L’attività delle multinazionali, quasi sempre, al di là della denominazione, a base nazionale prevalente, è causa di inquinamento delle falde acquifere e nel tempo del prosciugamento delle stesse, carestie e sfruttamento di lavoratori stagionali come avvenuto in India dove le multinazionali produttrici di bibite gassate analcoliche Coca Cola e Pepsi[1], detengono il duopolio sul 90% della produzione di queste bevande. Non meno grave le malattie dei lavoratori e delle popolazioni del posto dovute all’uso di sostanze chimiche per il riutilizzo delle bottiglie in quanto l’acqua contaminata viene riversata direttamente nei canali d’irrigazione. Non sono mancate e continuano ancora oggi, le proteste a cui ha fatto da contraltare una violenta repressione che non ha risparmiato donne e bambini.

L’estremo e violento sfruttamento delle fonti idriche è sconosciuto a rilevanti settori della popolazione dei paesi imperialisti, ammaliati dalla pubblicità di acque minerali e bibite come Coca Cola. Fanta, Sprite ( di proprietà dell’americana Coca Cola Company. La compagnia si stabilisce in luoghi dove il costo dell’acqua è bassissimo, prosciuga le risorse idriche, inquina l’ambiente, sfrutta i lavoratori, li costringe a lavorazioni fortemente nocive senza assicurare loro alcuna protezione. Una volta esaurite le fonti idriche, si trasferisce in altri luoghi dove poter continuare la sua opera di distruzione di territori e villaggi. A fronte del selvaggio sfruttamento delle risorse idriche ci sono enormi guadagni.

 

Tutto questo trova un suo corrispettivo negli stessi paesi imperialisti a danno delle masse popolari, Nel nostro Paese il business dell’acqua minerale è estremamente redditizio registrando un fatturato di 4 miliardi di euro l’anno. Quello che però le imprese monopolistiche, a base nazionale ed estera, lasciano attraverso il pagamento dei canoni sulle concessioni statali, è ben poca cosa.  Secondo le ultime rilevazioni fatte dal Ministero dell’Economia e delle Finanze nemmeno 20 milioni di euro concorrono ad alimentare le entrate. Le aziende che hanno le concessioni per imbottigliare l’acqua corrispondono alle regioni 2 millesimi di euro a litro, una miseria considerato poi che una bottiglia d’acqua al supermercato si aggira su 20/30 centesimi al litro e nei bar una bottiglietta da mezzo litro è mediamente un euro.

 

Le imprese monopolistiche, nazionali o estere, del settore idrico come di tanti altri settori, per loro stessa natura, producono ingenti profitti che poggiano sullo sfruttamento di uomini e territori. Pertanto, isolare la lotta per la difesa dell’acqua pubblica dalla lotta contro il capitalismo e l’imperialismo è improponibile; è una lotta sterile condannata a fallire o, nella migliore delle ipotesi, ottenere risultati risibili, come la gestione idrica in gestione mista pubblico-privato.

 

Molto preoccupante è ciò che prevede il PNNR (Piano nazionale di ripresa e resilienza). Ingenti investimenti pubblici sono finalizzati principalmente a portare profitti al capitale monopolistico. Per quanto concerne la tutela del territorio e della risorsa idrica, il PNRR sostiene e teorizza, come elementi fondamentali, la competizione e la centralità dell’impresa e di un mercato assoggettato alle imprese monopolistiche, nazionali e multinazionali.

 

A questo bisogna aggiungere la tesi del “water service divide”, sostenuta non solo dal PNNR ma anche da Utilitalia[2] e Arera[3], secondo cui i servizi idrici e le attività legislative regionali sarebbero ottimali nel Nord e Centro-Nord, mentre al Sud e nelle Isole persisterebbe una situazione molto arretrata ed insoddisfacente.

 

 E torna in mente la candidatura dell’Italia ad ospitare nel 2024 la decima edizione del Forum Mondiale dell’Acqua, evento creato dal Consiglio Mondiale dell’Acqua, a cui i governi sono chiamati a partecipare e a discutere sotto l’egida delle più grandi multinazionali del settore idrico il cui obiettivo è ottenere la definitiva possibilità di contrattazione del diritto all’accesso all’acqua e la privatizzazione dei relativi servizi pubblici. Oltre al danno, la beffa. La candidatura del nostro Paese ad ospitare il Forum Mondiale dell’Acqua è un oltraggio alla sovranità democratica e ai cittadini che, nonostante tutto, al di là delle illusioni di fondo,   attendono sempre, da oltre 11 anni, una legge per “l’acqua bene comune e diritto umano universale”.

 

Da sottolineare anche l’uso nella grande operazione di marketing comunicativo del logo: “Rinascimento dell’acqua” facendo riferimento alla sostenibilità, inclusione e valorizzazione di genere.

 

La privatizzazione dell’acqua consente profitti ulteriori per i grandi monopoli, ma nello stesso tempo attesta come tali monopoli siano legati strettamente allo Stato, ossia all’apparato statale del nostro paese come di quello delle altre potenze imperialiste. Nella crisi generale del capitalismo che si traduce in una decomposizione politica economica e sociale che si esprime anche nelle forme, a volte paradossali, della scarsità crescente delle risorse idriche, delle devastazioni ambientali e dei cambiamenti climatici, è chiaro che la ripubblicizzazione delle risorse, potrebbe avvenire solo nel momento in cui risultasse politicamente ed economicamente conveniente per gli stessi monopoli e per l’apparato statale. In ogni caso nella crisi crescente questa ripubblicizzazione si tradurrebbe, in forme diverse, in analoghi o ulteriori costi per le masse popolari.

 

Il quadro in cui si collocano questi processi attengono comunque allo strapotere dei monopoli, a base nazionale ed estera, che nel loro nesso con lo Stato impongono i propri interessi di prospettiva e le proprie direttrici strategiche ai vari governo contribuendo ad indirizzarne e ridefinirne di volta in volta l’orientamento, senza che ciò muti la loro sostanza di classe, ma in modo tale che la tendenza risulta sempre al peggioramento. Il quadro generale quindi, e non certo solo nel nostro paese, è quello di un avanzata dei processi di fascistizzazione dello Stato, di un’inaudita oppressione economica della classe operaia e delle masse popolari, di una continua riduzione dei diritti politici e sindacali, di una Costituzione che, anche dal lato semplicemente formale, è sempre più irrisa e vilipesa. Non è un caso che oggi abbiamo l’estrema destra al governo del paese in forme largamente maggioritarie sotto il profilo istituzionale che ovviamente non corrisponde all’effettivo consenso, relativamente limitato, popolare dato l’elevatissimo grado di astensione. Il governo Meloni è da questo punto di vista espressione ed insieme articolazione di un avanzato processo di fascistizzazione più generale e strutturale.

 

Questa situazione per quanto difficile e pericolosa contiene il suo rovescio. Più avanza il processo di fascistizzazione e maggiore è il logoramento, a breve o a medio termine, dei governi reazionari e dello Stato agli occhi delle masse popolari. Si ingenera così un circuito che richiede più repressione e che diminuisce la possibilità che la crisi egemonica galoppante possa venire indirizzata ancora più a destra come sbocco per evitare una soluzione di sinistra, almeno tendenzialmente rivoluzionaria.

 

Dietro ogni programma politico c’è un’ideologia, una precisa idea di società; quella di sinistra dovrebbe mirare alla costruzione di una società democratica, una società di eguali aperti al mondo e al rispetto dell’ambiente, una vita degna di essere vissuta. E’ evidente che ci sono due visioni della società inconciliabili che riflettono la divisione della società in classi sociali antagonistiche. La lotta sempre più acuta e dispiegata della classe egemone reazionaria contro il proletariato, e gli strati inferiori ed intermedi della piccola  borghesia e, cinicamente, contro i settori più disagiati e marginali della nostra società, contro i diversi, non può che portare alla ribellione. Per quanto la repressione e compressione reazionaria possano essere estese ed accentuate ad un certo punto incontreranno un limite critico e tutto il corso della lotta di classe si invertirà. Di fatto si tratta di lavorare oggi per favorire questa prospettiva, per accelerarla e per dargli uno sbocco programmatico. La questione dell’acqua è parte di questa lotta e di questo programma per una nuova forma di democrazia e di Stato e quindi di società e di economia. Non si può procedere su questa strada senza spezzare il potere dei monopoli, il loro nesso con questo tipo di Stato irreversibilmente corrotto e senza coniugare tutti i temi principali in primo luogo politici, ma poi anche sociali ed economico-sindacali della lotta e dell’organizzazione delle masse.

 

La polarizzazione politica e sociale non può che svilupparsi e su questa base è necessario schierarsi e costruire con un’ottica ed una prospettiva di classe un reale partito comunista ed un effettivo fronte popolare.

 

 

[1] Una delle maggiori vittime della multinazionale americana è l’India; i dati dell’India Resource Center evidenziano un intenso sfruttamento delle risorse idriche . La multinazionale ha fatto ricorso anche all’uccisione di chi lotta perché siano riconosciuti sia il diritto all’acqua sia un’equa retribuzione dei lavoratori. E’ il caso della scomparsa di otto sindacalisti colombiani in seguito alla quale ci fu una campagna di boicottaggio internazionale ed un processo contro la multinazionale (che si concluse con un’archiviazione).

[2] UTILITALIA; cartello monopolistico di 440 gestori di servizi idrici, ambientali ed energetici; gestiscono l’80% dei servizi idrici il 55%dei servizi ambientali (rifiuti), il 30% della distribuzione del metano

[3] ARERA : Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente; organismo pubblico indipendente istituito nel 1995 con una legge di liberalizzazione del mercato (La struttura di governance dell’ARERA è costituita da un Presidente e altri quattro membri, tutti nominati con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del governo e con il parere favorevole delle commissioni parlamentari). Il mandato ha durata settennale e non è rinnovabile. Svolge attività di regolazione e controllo nel campo dell’energia elettrica, del gas naturale, dei servizi idrici, del ciclo dei rifiuti e del telecalore. Spetta all’Arera stabilire ogni tre mesi il costo dell’energia elettrica nel mercato tutelato. I gruppi monopolistici grazie ad Arera riescono ad ottenere la gestione del servizio idrico senza investire un euro.