Il 7 dicembre 2024 è stata consegnata alla marina militare una nuova nave che è stata chiamata Trieste. Il nome richiama quello dell’incrociatore Trieste della regia marina protagonista durante il fascismo delle missioni di guerra nel Mediterraneo. Si tratta della nave più grande che l’Italia abbia costruito dalla seconda guerra mondiale dalle caratteristiche particolarmente avanzate e di fatto si tratta di una portaerei con sedici aree a bordo attrezzata anche per il trasporto e lo sbarco di mezzi anfibi e per l’intervento in situazioni di calamità naturali.
Citiamo cosa riporta nello specifico il sito: https://www.marina.difesa.it:
“Il ruolo principale di Nave TRIESTE è quello di Unità Anfibia Multiruolo, una piattaforma progettata per supportare operazioni di sbarco e proiezione di forza dal mare e sul mare in aree di crisi.”
Recentemente è stata annunciata anche l’intenzione di dotare la marina di un sommergibile a propulsione nucleare in grado quindi di compiere missioni in tutto il globo. Si tratta di un mezzo in dotazione solo alle grandi potenze militari e anche questa scelta dimostra il delirante tentativo dell’imperialismo italiano di competere sulla scena a fianco di paesi come Stati Uniti, Russia, Francia, Regno Unito, Cina e probabilmente Israele. Queste marine militari navigano in tutti gli oceani del mondo in immersione completa per mesi e mesi grazie alle caratteristiche soddisfatte solo dai sottomarini nucleari.
La Difesa ha affidato il 2 agosto scorso a una Associazione temporanea di scopo formata da Fincantieri (mandataria) con la controllata Catena, Ansaldo Nucleare, Rina Service e l’Università di Genova uno studio di fattibilità per affrontare il problema dell’installazione dei reattori nucleari a bordo di natanti sempre per garantire un’autonomia di navigazione pressoché “infinita”. Si tratta di obiettivi finalizzati ad una proiezione su scala mondiale del l’imperialismo italiano come dimostra anche la partecipazione all’imponente esercitazione nel mare cinese meridionale avvenuta a settembre 2024. Per la prima volta Italia, USA e Australia hanno operato congiuntamente entrando anche in acque rivendicate dalla Cina. Il progetto della nave multiruolo Trieste rientra pienamente in quella visione di forze armate proiettata fuori dai confini nazionali.
Fin dal primo dopoguerra l’Italia non ha mai smesso di operare all’estero cercando di ritagliarsi un ruolo tra le grandi potenze ma scontrandosi presto con grossi limiti e pagando un non irrilevante numero di vite umane e perdite materiali. Dal 1949 agli inizi degli anni 70 le forze armate perdono più di 30 militari durante varie missioni neo coloniali in Eritrea e con l’”Amministrazione Fiduciaria Italiana della Somalia” fino all’episodio di Kindu dopo la dichiarazione d’indipendenza del Congo dove vengono uccisi 13 militari italiani da una folla inferocita. L’organizzazione, la logistica, i mezzi e l’interoperabilità delle forze erano risultate non adeguate ai nuovi compiti internazionali dell’imperialismo italiano. Lo spazio nazionale era un limite e serviva realizzare un esercito in grado di spostarsi rapidamente abbandonando il vecchio concetto di roccaforti fisse a difesa del territorio nazionale.
Nel 1975 con la riforma delle forze armate promossa dal generale Andrea Cucino l’impostazione cambia. La possibilità di movimentare rapidamente e ovunque navi, aerei, truppe ispirerà d’ora in poi ogni visione delle forze armate in Italia insieme alle sue partecipazioni in missioni imperialiste all’estero. Parallelamente aumentano di volta in volta le richieste esorbitanti di risorse finanziarie da destinare alle spese militari. Così come Cucino nel 1975 si appellava a tutte le forze politiche per giustificare la richiesta di fondi in vista delle nuove sfide della “Guerra fredda” oggi si ipotizza addirittura la necessità di raggiungere la quota del 3% del PIL nazionale da destinarsi alle spese militari. lo riporta Il Fatto Quotidiano il 12 dicembre 2024 che cita il “Financial Times”:
“I leader dei paesi europei che aderiscono alla Nato stanno discutendo un incremento dei budget per la difesa fino al 3% del Pil ( prodotto interno lordo )”
Per renderci conto dell’enorme quantità di risorse necessarie citiamo ancora:
“Per l’Italia significa trovare 20 miliardi di euro in più subito e altri 10 miliardi entro il 2030, in tutto una spesa aggiuntiva per armi ed esercito di 30 miliardi di euro, per un totale di 60 miliardi l’anno, il doppio rispetto ad oggi. Il governo di Giorgia Meloni si è impegnato a portare la spesa al 2% entro il 2028. Il ministro della Difesa italiano Guido Crosetto ha avvertito questa settimana che il ritorno di Trump avrebbe aumentato la pressione su Roma affinché superasse l’obiettivo attuale.”
ma in realtà già si parla di incrementare la soglia al 4%:
“I soli paesi del G7, in tal caso, dovrebbero spendere 10mila miliardi di dollari in un decennio.”
L’Italia si accoda poi ancora una volta all’imperialismo tedesco con la creazione di una joint venture tra la Rheinmetall AG e la Leonardo S.p.a che avrà lo scopo di realizzare un nuovo carro da battaglia che dovrebbe essere acquisito in almeno 270 unità con varie funzioni.
Un’altra joint venture che si appoggia a paesi imperialisti molto più forti dell’Italia è quella firmata il 13 dicembre tra Leonardo, la Bae Systems britannica e la giapponese Mitsubishi Heavy Industries per la realizzazione del nuovo caccia di sesta generazione.
A fianco di questi sforzi produttivi sono in atto una serie di procedure di tipo propagandistico e organizzativo che incideranno direttamente sulla vita di milioni e milioni di abitanti e che mirano di fatto alla loro ulteriore militarizzazione.
Il quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung (Faz) ha descritto il contenuto del “Piano operativo tedesco” di più di mille pagine illustrato dalle Bundeswehr, le forze armate tedesche, e inviato alle imprese con indicazioni per salvaguardare la loro operatività nel caso la Germania diventi il principale hub di movimentazione di forze armate NATO in vista di una guerra aperta sul fronte orientale.
Vi è contenuta inoltre la direttiva che l’intera forza lavoro di migliaia di aziende definite “strategiche” abbia una formazione sulle questioni relative alla sicurezza e in questo senso le imprese assumeranno connotazioni tipiche di uno stato già in guerra con la militarizzazione degli addetti.
Nel mese di novembre il governo e la protezione civile svedesi hanno distribuito 5 milioni di opuscoli alla popolazione dal titolo eloquente “Cosa fare in caso di guerra”. Non si tratta però di un’iniziativa volta a garantire la mera sopravvivenza dei cittadini ma piuttosto alla loro mobilitazione attiva e lo spiega bene infatti l’affermazione del ministro della Difesa Carl Oskar Bohlin parlando con la stampa:
“La nuova brochure è uno strumento importante per chiarire il ruolo dell’individuo nella difesa complessiva”, “Se la Svezia verrà attaccata non ci arrenderemo mai. Tutte le informazioni su una resa sono false”
Assistiamo anche a squallide operazioni volte a terrorizzare la popolazione come per esempio quella descritta dalla “Stampa” del 15 dicembre:
“la Chiesa di Svezia a Goteborg è stata incaricata dall’Agenzia nazionale per le emergenze civili (Msb) di prepararsi alla possibilità di seppellire 30.000 soldati in caso di guerra o di un “grave disastro”: lo riporta il Nordic Times.
I leader svedesi hanno recentemente cercato di far passare il messaggio che la Svezia è già in guerra con la Russia – o almeno che la guerra potrebbe diventare presto una realtà – scrive il giornale. La Msb ha anche esortato le chiese e gli impresari funebri svedesi a preparare e mettere in sicurezza i terreni per poter seppellire un numero molto elevato di morti in breve tempo. “Dobbiamo essere pronti a seppellire soldati caduti. Questa per noi è una novità e dobbiamo iniziare a prepararci adesso” “
Non si tratta però solo di dotarsi di nuovi mezzi ma soprattutto di incrementare il numero degli addetti alle forze armate. Il problema viene affrontato ormai da tutti i principali paesi imperialisti con modalità che bene o male mirano ovunque ad introdurre o reintrodurre elementi di obbligatorietà al servizio militare. La Germania ha inviato questionari digitali a tutti i giovani nati dopo il 31 dicembre 2006 con obbligo di risposta per i maschi e opzionale per le ragazze con lo scopo di studiare la fattibilità di ritorno alla leva obbligatoria. In Germania la leva è stata sospesa nel 2011 ma ora il ministro della difesa Boris Pistorius ha reso noto il progetto significativo di innalzamento delle forze armate a mezzo milione di unità contando su 260mila riservisti. Il modello basato sulla riserva, ossia su militari che di fatto non abbandonano mai il loro ruolo anche quando ritornano alla vita civile, è per esempio caratteristico di Israele dove una grande quantità di imprese tecnologiche sono militarizzate perché dirette a vari livelli da riservisti che mettono a disposizione dell’imperialismo le loro competenze sia di militari che le loro qualifiche di ingegneri, tecnici, ricercatori ecc… Anche il modello Austriaco si basa sulla riserva e l’Italia sembra valutare l’implementazione di qualcosa di simile anche se proposte di legge diverse si susseguono negli anni con esiti inconcludenti.
Il 15 maggio del 2024 il leghista Eugenio Zoffili ha presentato il testo: “Istituzione del servizio militare e civile universale territoriale e delega al Governo per la sua disciplina” che propone di fatto il ritorno alla leva obbligatoria, limitata a 6 mesi, o al servizio civile per ragazzi e ragazze mentre la proposta di Edmondo Cirielli (Fdi) consiste nella “delega al Governo per l’istituzione di un Servizio nazionale militare di volontari per la mobilitazione” e mira alla costituzione di una vera e propria riserva di militari che dovrebbero affiancare i professionisti in caso di necessità.
Al di la delle differenze è ormai chiaro che il processo di fascistizzazione in atto in Italia contempla pienamente una riforma delle forze armate e già nel 2023 il ministro della difesa Crosetto dichiarava:
“Lo scenario mondiale è cambiato. Serve una rivoluzione di tutte le forze armate”
A maggio del 2024 la rivista di settore www.forzeitaliane.it riportava:
“Bisogna rinnovare le Forze Armate per adeguarle alle nuove sfide internazionali, come ricordato dal ministro Crosetto, nonché dal Capo di Stato Maggiore dell’Esercito in occasione del 163° anniversario di costituzione dell’Esercito. È proprio l’Esercito Italiano, infatti, a necessitare il più ampio intervento in merito di incremento del personale e ammodernamento dei mezzi, non senza cominciare ad abbassare l’età media dei militari.”
Nell’articolo si parla anche di “nuovo modello fi reclutamento” e di “sistema misto” basato sulla riserva.
“La soluzione del sistema misto si configura come un modo vantaggioso per colmare le lacune di organico senza costi eccessivi. La formazione di una riserva è un altro punto cruciale per il generale Masiello, che evidenzia quanto il conflitto in Ucraina abbia ribadito l’esigenza di poter prolungare a lungo gli sforzi militari.”
Ma per capire nella realtà cosa si intenda quando si parla di “riserva” è necessario approfondire i passi che sta facendo il governo italiano.
Giovedì 7 novembre, alle ore 8.30, in Commissione Difesa della Camera si è svolta l’audizione del presidente della Commissione Difesa del Nationalrat austriaco, Volker Reifenberger, sulle tematiche relative alle Forze militari della riserva.
In Austria le forze armate sono integrate dalla milizia e dalla riserva che si fonda su militari che hanno fatto la leva e si esercitano abitualmente e in questo paese il servizio militare è obbligatorio come recita l’articolo 9a della costituzione federale:
3) ogni cittadino maschio è soggetto alla leva militare. le cittadine possono prestare servizio nell’Esercito austriaco come soldatesse su base volontaria e hanno il diritto di terminare questo servizio quando lo volessero.
4) gli obiettori di coscienza ne sono esonerati, tuttavia hanno l’obbligo di prestare un servizio sostitutivo (servizio civile)
Reifenberger, durante l’audizione ha affermato:“oggi, nel 2024, quasi tutti i partiti politici austriaci, compresi i socialdemocratici e i verdi, sono contenti di non aver abolito il servizio militare obbligatorio come è successo per esempio in Germania nel 2011 o in Italia nel 2005. In Germania è in corso un dibattito politico sulla reintroduzione del servizio di leva, mi è stato detto anche da alcuni ufficiali militari tedeschi che all’epoca fu un errore sospendere il servizio militare obbligatorio. Senza il servizio di leva non può esistere un grande esercito della milizia perché la truppa non può essere composta solo da volontari”
Si tratta di un passaggio molto significativo sia perché collega i processi che sono avvenuti in Germania, Austria e Italia e ne prospetta un futuro scenario in direzione di quello austriaco e sia perché afferma implicitamente che parlare di “riserva” significa parlare di “leva obbligatoria”.
A questo proposito si deve essere chiari ricordando che nel nostro paese la leva non è mai stata abolita ma solo sospesa con la legge Martino mentre non è mai stato riformato l’articolo 52 della costituzione che infatti recita:
“La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino.
Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge”.
Nel 2005 forze politiche del centro sinistra e aree pacifiste dopo aver lavorato per la ristrutturazione delle forze armate in direzione del rafforzamento e dell’espansione di un esercito di tipo professionale avevano anche la spudoratezza di salutare la fine del servizio militare come una svolta progressista. Si è trattato di una mistificazione operata da coloro che per anni avevano usufruito di enormi risorse pubbliche finalizzate alla gestione di un gran numero di giovani che cercavano di sfuggire alla leva scegliendo l’obiezione di coscienza e dedicandosi al servizio civile gestito in gran parte dal terzo settore. Molti del centro-sinistra e del Terzo Settore erano allora interessati a porsi come riferimento di questi settori giovanili.
La sospensione della leva militare rappresentò anche un passaggio già propagandato dalla riforma Cucino del 1975 nella direzione della dismissione di aree e beni inutili del demanio militare che rappresentavano un costo e scarsa utilità in seguito a modifiche strutturali introdotte nell’organizzazione delle forze armate e lo sviluppo di nuove tecnologie.
Un elevato numero di immobili si sono riversati sul mercato spesso passando dal demanio alle regioni e poi alle provincie e comuni che però non erano spesso in grado di sostenerne le enormi spese di gestione e ristrutturazione nel cambio di destinazione d’uso. L’esito finale è stato che beni pubblici che a volte presentavano anche un elevato valore storico e ambientale sono finiti, a prezzi bassissimi, nelle mani di catene immobiliari, anche estere, che ne hanno ricavato enormi profitti.
La leva militare obbligatoria era diventata un problema di fronte alla necessità di porre in primo piano la ristrutturazione ed il rafforzamento, in senso professionale, delle forze armate; rafforzamento che adesso rappresenta la base per muove riforme fasciste volte a ridare una dimensione di massa all’esercito italiano. Una condizione necessaria per l’Imperialismo italiano in un contesto di irreversibile crisi economica ed egemonica dello Stato italiano, di accentuazione della contradizione con le masse popolari ed il proletariato all’interno del paese e di mire guerrafondaie nei confronti di popoli oppressi e piccole nazioni.
Qualsiasi specifica riforma che verrà approntata in questa direzione comporterà pesanti costi da sostenere che ricadranno sulle masse popolari e i piccoli produttori. Tutte le contraddizioni sono dunque destinate ad accentuarsi ancor prima del passaggio alla guerra aperta, sul piano inter-imperialistico. In questo quadro le forze armate italiane mostreranno sempre di più la loro funzione repressiva e guerrafondaia, antiproletaria e antipopolare, sia all’interno che all’esterno dei confini nazionali. Una situazione che sempre più imporrà il nesso della lotta contro il fascismo e l’imperialismo nella prospettiva di una Nuova Resistenza e dell’affermazione di uno Stato Democratico Popolare e Antifascista indirizzato verso socialismo.
PER LA DEMOCRAZIA POPOLARE