Ha fatto molto discutere l’affermazione del generale reazionario Vannacci sulle classi separate per alunni disabili. Eppure, se andiamo a vedere la sostanza di ciò che sta succedendo oggi, nel silenzio e nell’accettazione anche di quelle cooperative sociali organica espressione della “sinistra” borghese, i fascisti non fanno altro che sostenere un processo che è già in corso con la complicità di tutte le forze politiche, compresa la cosiddetta “opposizione”.
Formalmente, a partire dagli anni ’70 in Italia è riconosciuto l’inserimento dei disabili all’interno delle scuole. La prima legge che sancisce la fine delle “scuole speciali”, ovvero di quelle strutture separate dove i disabili venivano isolati similmente a quanto avveniva con le strutture psichiatriche manicomiali, è del 1977 e si inserisce in quel processo che ha poi portato, con la legge Basaglia, alla chiusura dei manicomi. Eppure le “scuole speciali” non sono mai state ufficialmente abolite. Formalmente infatti il processo che ha visto la fine delle scuole speciali per disabili ed enunciato il principio del loro inserimento nelle scuole pubbliche, parificati con tutti gli altri bambini e ragazzi, è fondato su un principio corretto e democratico. Tuttavia nessun reale progresso è possibile sulle basi di una società non solo fortemente classista ma anche, come la nostra, dominata da rendite parassitarie che minano fortemente il funzionamento dell’apparato burocratico statale. Così questo principio risulta ancora oggi sostanzialmente lettera morta.
Andiamo per esempio a prendere in considerazione la formazione degli insegnanti. Uno dei punti centrali della legge del 1977 è l’introduzione della figura dell’insegnante di sostegno col fine di gestire l’inclusione dei ragazzi e dei bambini con disabilità all’interno della scuola pubblica. Come avviene la selezione? Essa attualmente si limita al cosiddetto Tirocinio Formativo Attivo (TFA). Esso consiste in un’infarinatura superficiale di un po’ di scienze sociali e psicologia e in un tirocinio, il tutto della durata di circa un anno. Per entrare è necessario passare un concorso pubblico a numero chiuso. Una volta superato il concorso e il tirocinio, si consegue l’abilitazione come insegnanti di sostegno.
Ma i TFA di sostegno banditi nei vari anni non tengono mai conto delle effettive esigenze dal punto di vista del numero d’inseganti. In pratica 1/3 degli insegnanti di sostegno non possiede una formazione specifica, quindi nemmeno il TFA di sostegno. Ma anche nel caso dei restanti 2/3, un tirocinio di poco più di un anno non può assolutamente considerarsi sufficiente, considerando i differenti tipi di disabilità e anche solo considerando la varietà di problematiche che oggi vengono catalogate in maniera impropria come “sindrome dello spettro autistico”, in cui rientrano casistiche diverse se non completamente opposte.
A tutto ciò si aggiunge il fatto che, in assenza dell’abilitazione conferita dal TFA, è il precariato a farla da padrone, con insegnanti che vengono assunti per pochi mesi se non addirittura qualche settimana. Così una grandissima percentuale di ragazzi disabili si trova costretta a subire il problema della discontinuità educativa, cambiando continuamente insegnante, anche più volte durante lo stesso anno. Questo non riguarda una minoranza, ma circa il 60% di tutti gli alunni disabili. La discontinuità risulta particolarmente problematica ad esempio per ragazzi autistici, per nulla abituati a cambiare routine e modo di fare. Tutto ciò si rivela inoltre un gravame per i lavoratori precari della scuola costretti, “pur di far punteggio” nel sistema infernale delle graduatorie, a doversi accollare situazioni particolarmente delicate e complesse per cui non sono effettivamente preparati.
Bisogna considerare inoltre che il 60% delle scuole non è strutturato per chi ha problemi di disabilità. Il risultato è che ogni volta che dei genitori iscrivono un ragazzo disabile a scuola, la cosa diventa un problema per la scuola stessa. Problema in diversi sensi: 1) dover assumere un insegnante di sostegno che si occupi del ragazzo, quindi un costo ulteriore per l’istituzione scolastica; 2) dover gestire le problematiche relative alle carenze strutturali della scuola, altro costo che le scuole devono prendere in considerazione, grazie al principio dell’ “autonomia scolastica”, con i presidi che a tutti gli effetti sono riconosciuti come “manager” della “scuola-azienda”.
A sgravare di queste problematiche le scuole intervengono sempre di più associazioni private che stabiliscono convezioni con le scuole. Così le “scuole speciali” assumono la fisionomia di vere e proprie scuole pubbliche, spesso legate a strutture sanitarie, che a tutti gli effetti ripropongono il principio, che si sosteneva superato, non solo delle classi separate, ma anche di istituti separati. Vediamo dunque che la vecchia impostazione manicomiale e ghettizzante torna a farsi viva in forma diversa, come già avviene per gli istituti psichiatrici. Il tutto col riconoscimento dello Stato, in quanto chi viene assunto in queste “scuole speciali” risulta a tutti gli effetti un dipendente pubblico, parificato a qualsiasi insegnante di sostegno. Con questo espediente il fenomeno risulta dunque più sommerso e difficilmente quantificabile.
Ma tutto ciò non sempre basta, perché anche queste “scuole speciali” sono limitate. Succede allora che le famiglie dei ragazzi disabili, specialmente quelle del proletariato e delle masse popolari, che non riescono a permettersi costose strutture private, trovandosi nel limbo di liste d’attesa infinite, sono costrette a tenere a casa i figli e ad “auto-gestirli”. Ciò si traduce dunque in un duplice peso opprimente, da un lato per le famiglie dei ragazzi, da un lato per i ragazzi stessi, che vengono privati del diritto ad avere un’educazione che gli consenta il massimo di emancipazione dalla propria condizione.
Vediamo dunque che in tutte queste problematiche, affrontate attraverso un burocratese tecnocratico oppure occultate attraverso il linguaggio positivistico delle scienze sociali e della psicologia borghesi, riemerge invece potentemente la questione di classe. Sono i disabili figli delle classi popolari, sono queste famiglie che subiscono l’oppressione e l’ingiustizia di questo meccanismo. Sono i precari e i lavoratori del privato-sociale e della scuola, settori sempre più in miseria della piccola-borghesia, a doversi accollare e gestire situazioni sempre più pesanti. E in tutte queste categorie sociali possono rientrare in alcuni casi anche membri di famiglie proletarie.
Chi ci guadagna sono invece le rendite, che possono vivere di ciò che lo stato sgrava a questi servizi, sono le cooperative del privato-sociale, sono le burocrazie scolastiche, il tutto risultando alla fine gestito nel pieno interesse della classe dominante. Non è un caso che il fascismo, eminente espressione dei settori borghesi più reazionari, prema sempre di più attraverso i suoi rappresentanti per rendere questa situazione ancora più scoperta e legale, per legittimarla, accentuando dunque l’oppressione sulle masse popolari. Infatti, prima che dal generale Vannacci, questa proposta era stata lanciata da un portavoce del partito neonazista tedesco AfD, Bjorn Hocke.
Ma sulla base dell’imperialismo e del capitalismo monopolistico non è possibile alcun miglioramento di prospettiva per i lavoratori e le masse popolari. Tutte le prospettive che andavano in questo senso, come quelli degli anni ’70, si sono tradotte semplicemente nell’attuazione di una “rivoluzione passiva” dove sotto il mantra del “inclusione”, della “messa in discussione dell’autorità”, grazie anche al sostegno del personale politico della “Nuova Sinistra” e del PCI revisionista, ciò che si ripresenta è la vecchia oppressione, il vecchio autoritarismo, il vecchio paternalismo autoritario ridipinto in altra maniera. La questione della formazione e di un’opposizione alla scuola autoritaria, che le lotte degli anni ’70 mettevano al centro, è sicuramente importante. Tuttavia l’impostazione riformistica su questa questione è completamente fallimentare, ammesso che chi la assume sia effettivamente in buona fede e non un esponente della società civile reazionaria.
Infatti se andiamo a vedere una soluzione che sull’immediato potrebbe alleviare il problema, senza considerare la questione di impostare una pedagogia e un’educazione che siano effettivamente democratiche, essa consisterebbe nell’assumere più personale, nel dare effettivamente accesso a tutti i laureati a questa professione, cosa che già di fatto avviene tramite il precariato. Infatti nelle “scuole speciali” pochissimi insegnanti devono trovarsi a gestire tantissimi allievi senza potersi effettivamente concentrare su nessuno di essi, come dovrebbe avvenire se ad un alunno è assegnato un insegnante di sostegno. Se dunque si assumessero più insegnanti non si risolverebbe il problema ma si allevierebbe molto la situazione generale.
Tuttavia anche questo problema non dipende effettivamente né dalle scuole, né dai comuni né da altri organismi, ma dallo Stato che concede gli effettivi margini di spesa. Dunque se non si pone il problema di una lotta contro lo Stato, se non ci si pone il problema di un Nuovo Stato, non si sbloccherà mai effettivamente la situazione. Risulta infatti quanto mai evidente che attualmente lo Stato, non volendo rompere il blocco di potere che lo tiene in piedi, tra cui si riscontrano tutta una serie di rendite, non è assolutamente intenzionato ad investire in alcunché e gli ultimi decenni di tagli dimostrano semmai il contrario. Bisognerebbe invece impostare la questione da un punto di vista rivoluzionario.
Ciò comporta da una parte mettere al centro della lotta su queste problematiche la lotta contro il fascismo e l’imperialismo, di cui le burocrazie scolastiche e le associazioni della società civile sono espressione. Bisogna superare l’impostazione rivendicativa su cui si pongono i gruppetti della sinistra postmoderna e dei sindacati corporativi, che su questo terreno costruiscono mobilitazioni di carattere movimentista con il fine di “fare pressione” sui governi e le scuole per ottenere miglioramenti. Che ciò venga fatto in maniera platealmente corporativa e reazionaria o in maniera pseudo-radicale come nei gruppi della sinistra postmoderna, il risultato è alla fine il medesimo, di collusione con tutto ciò che sta avvenendo.
Il problema della scuola “inclusiva” può solo essere risolto da un governo di Democrazia Popolare, espressione di un fronte delle masse popolari e del proletariato. Le soluzioni “parziali” di cui cianciano le sinistre postmoderne si risolvono semplicemente in distribuzione di alcuni fondi per diverse associazioni e quindi ripresentano il problema della “rivoluzione passiva” di cui queste sinistre sono organica espressione. Non ci si può aspettare che un governo fascista o anche un governo di falsa sinistra o di Larghe Intese cambi improvvisamente la sua natura, se esso dimostra di accettare certe “rivendicazioni” è solo per portare avanti meglio i suoi piani reazionari.
Ma tutto ciò è anche un problema di cui solo un partito comunista può farsi carico. Infatti ogni soluzione che non sia sotto l’egemonia del proletariato finisce in tutti i casi per tradursi in un rafforzamento del corporativismo proprio dell’imperialismo. L’educazione nella società borghese è diretta secondo le categorie delle scienze sociali borghesi, secondo la filosofia borghese, in parole povere secondo la concezione del mondo borghese. E sul terreno dell’imperialismo diventa sempre più difficile distinguere, tra un lato “buono” e uno “cattivo” di questa educazione, specialmente dal lato relativo alle scienze sociali e “umanistiche”.
Il partito comunista come intellettuale collettivo deve dunque farsi carico del problema della formazione dei ragazzi disabili. Man mano che il partito si costituisce e diventa effettivamente espressione di un Nuovo Potere, esso estende la sua egemonia anche su questioni simili. Le impostazioni rivendicative o riformiste separano la questione della formazione del partito dalla questione della formazione e dell’educazione. Secondo queste impostazioni bisogna semplicemente rivendicare più psicologi, più insegnanti, esse separano la forma dal contenuto. Ma la questione di un’istruzione diversa e che includa tutti, anche i disabili, è una questione di contenuto. E questo contenuto non si può sviluppare all’interno di una scuola impostata secondo le logiche e gli interessi del grande capitale monopolistico. Esso può svilupparsi adeguatamente solo in un tipo di formazione ed educazione impostata in modo diverso. Tutto ciò quindi si può sviluppare inizialmente in un Partito Comunista e in un fronte democratico-popolare che istituiscano apposite scuole, che sviluppino una nuova didattica, e può alla fine trovare definitiva soluzione solo con una rivoluzione di Democrazia Popolare che porti effettivamente al potere il proletariato e le masse popolari.