Ci è pervenuto  un comunicato del medico del lavoro e psichiatra Vito Totire della RETE NAZIONALE LAVORO SICURO, che approfondisce la vicenda della morte recente di un lavoratore della Metro, filiale italiana di un grande monopolio nel campo della ristorazione con base in Germania: “Morte a Venezia, un ennesimo ‘crimine di pace’? Morte ‘decretata’ a Venezia, avvenuta a Padova; la nuda cronaca riferisce del ‘suicidio’ di un lavoratore dipendente della ditta Metro di Mestre licenziato per un asserito errore nella gestione di pagamenti”.

L’errore che avrebbe causato un “danno” alla Metro Italia, di poco più di 200 euro, è stato il pretesto per una contestazione disciplinare a cui è velocemente seguito il “licenziamento per motivi soggettivi”. Il lavoratore di Piove di Sacco (Padova) di 55 anni oggetto del provvedimento vessatorio da parte dell’azienda monopolistica ha reagito con il suicidio. Il lavoratore era noto per la sua dedizione agli interessi dell’azienda. I suoi colleghi di lavoro affermano che “era troppo aziendalista!”. Il Dr Totire evidenzia: “le cronache peraltro riferiscono di una particolare dedizione al lavoro da parte di P.M. (queste le iniziali del lavoratore); si tratta di situazioni “pericolose” in cui l’aver fornito energie anche extracontrattuali e avere investito emotivamente nella propria prestazione lavorativa rende particolarmente dolorosa la frustrazione causata da un provvedimento di licenziamento”.

Il lavoratore aveva purtroppo scelto di identificarsi non con gli interessi delle centinaia di migliaia di lavoratori super-sfruttati e precarizzati del settore, ma con quelli dell’impresa Metro, ricevendo in cambio la qualifica di capo-settore. Si è trattato di una scelta che l’ha privato di una motivazione di fondo, quella che avrebbe potuto tenerlo in vita e vederlo in prima fila nella lotta contro i soprusi padronali, i licenziamenti e lo sfruttamento. Non era un operaio combattivo, ma un lavoratore privilegiato assimilabile all’aristocrazia operaia.

Non per questo la sua morte è meno rilevante. Anzi, attesta come la logica dell’impresa monopolistica non abbia alcuna etica diversa da quella del massimo profitto che, in un modo o nell’altro, macina i lavoratori riducendone l’aspettativa di vita, sino ad arrivare a perseguitare senza scrupoli quelli che pure avevano scelto di porsi al suo servizio. Nulla a che fare dunque con l’etica di un lavoratore che, pur ingenuamente, riteneva di poter dare un fondamento ideale e morale alla sua professione presso la Metro-Italia, tanto da risultare sconvolto dalla barbarie del licenziamento ingiustificato disposto ai suoi danni.

La crisi generale del capitalismo, che accentua in tutti i settori l’oppressione economica e politica del capitale monopolistico spesso legato alle istituzioni e alla macchina statale, attesta che oggi nemmeno i lavoratori che occupano posizioni di responsabilità e di privilegio sono esentati dal correre il rischio di essere sacrificati agli interessi del profitto capitalistico.

Il sito polesine24.it[1] riporta le parole di Michele Mognato, ex vicesindaco di Venezia ed ex deputato del Partito Democratico: “Negli anni recenti della nostra conoscenza ero stato piacevolmente sorpreso per la sua curiosità e la semplice allegria. M’interrogo sulla sua fragilità e come la situazione in cui si è trovato l’abbia travolto”.

Immaginiamo che il Signor Mognato continuerà ad interrogarsi indefinitamente nel tempo. Lo schema interpretativo con cui affronta quanto è avvenuto non è dissimile da quello consueto di matrice padronale fatto proprio dai sindacati collaborazionisti (CGIL, CISL, UIL). Come sottolinea il Dr Totire: “il problema è che i “padroni” devono rendersi conto, anche nell’ambito della “valutazione del rischio”, degli effetti possibili non solo dei fattori chimici o fisici ma anche dei fattori di rischio psicologico”. In altri termini, sulla pelle di milioni di lavoratori sfruttati e precarizzati si gioca quotidianamente il tentativo di attribuire lo stress, da cui sono perennemente attanagliati, alla loro “fragilità soggettiva” e non invece ai fattori e alle condizioni oggettive relativi agli arbitri, alla nocività del lavoro, al rischio infortuni, al super-sfruttamento, alla precarietà e al pericolo di perdere il lavoro, a cui quotidianamente sono sottoposti.

È ben nota la relazione tra stress lavorativo e l’insorgere delle patologie tumorali e cardiovascolari, che decimano i lavoratori con decine di migliaia di invalidi e di morti all’anno causati da  malattie professionali nemmeno riconosciute e quindi nemmeno risarcite da INAIL e INPS.

I suicidi tra i lavoratori disoccupati e quelli oggetto di vere e proprie persecuzioni sui posti di lavoro sono sempre più comuni e accompagnati dal silenzio dei media borghesi e dalle ipocrite dichiarazioni di condanna dei sindacati confederali collaborazionisti. Questo in un contesto in cui i lavoratori sono ormai licenziabili a discrezione del padrone e in cui la perdita del lavoro può significare la completa emarginazione dalla vita sociale, come dimostrano le lunghe file di cittadini, molti dei quali licenziati e rimasti senza lavoro, davanti agli sportelli degli enti di beneficenza che distribuiscono generi alimentari. Un quadro in cui i lavoratori scomodi sono sempre più oggetto di tentativi di omicidio premeditato, in cui si stringe il lavoratore in una morsa e lo si costringe   a scegliere se auto-licenziarsi o rischiare di morire sul posto di lavoro sotto i colpi di strategie di mobbing, che usano sistematicamente la nocività sul lavoro e la generazione di situazioni di stress e di deprivazione sensoriale (come nel caso dei lavoratori che posti in situazioni e “reparti confino[2]” a cui viene persino negata la possibilità di lavorare o di poterlo fare con un orario stabile).

Una situazione in cui il blocco dominante reazionario, pur di contrastare e prevenire la ribellione di operai, lavoratori dei servizi, piccoli impiegati, contadini e piccoli allevatori, non esita a rafforzare un decrepito e screditato sistema parlamentare, a fomentare il razzismo, a promuovere le guerre tra i poveri, ad alimentare il fascismo, la repressione e le politiche guerrafondaie. Per questo la lotta sindacale di classe oggi deve essere sviluppata insieme alla lotta politica per la difesa e l’affermazione degli interessi del proletariato e di vaste masse popolari piccolo-borghesi.

PER LA DEMOCRAZIA POPOLARE

[1] https://www.polesine24.it/cronaca/2024/08/14/news/licenziato-per-un-errore-si-toglie-la-vita-277815/

[2] Ricordiamo il drammatico caso di Maria Baratto operaia collocata in un reparto confino di Nola perché impegnata sindacalmente con lo Slai Cobas di Pomigliano D’Arco, morta suicida (come altri due operai dello stesso reparto) dopo anni di vessazioni e di misera cassa integrazione  [https://www.internazionale.it/reportage/maila-iacovelli/2014/10/27/reparti-confino-in-italia-9].