Volantino per l’8 marzo.
La crisi generale del capitalismo ha un’incidenza particolare in paesi come l’Italia caratterizzati, rispetto ai principali paesi europei, da una rilevante arretratezza economica e dal particolare divario esistente tra le regioni del Nord e del Centro-Nord e quelle rimanenti. Tutto ciò accentua la tendenza a generare forme sempre più estreme di sfruttamento e precarizzazione. Nello stesso tempo, comporta l’aumento della pressione sulle entrate della spesa pubblica da parte degli apparati burocratici, delle rendite e delle associazioni che vivono di contributi, accreditamenti, convenzioni ed appalti pubblici comportando e un drastico abbassamento della qualità della vita, dato che alla maggiore pressione fiscale corrisponde la devastazione dei servizi pubblici (sanità, istruzione, trasporti).
Il capitalismo tende quindi a relegare le donne delle masse popolari nei ristretti ambiti familiari, assoggettandole allo svolgimento di un complesso di servizi relativi all’economia domestica e alla cura e assistenza dei membri della famiglia attuale, di quella di origine, ecc. La condizione di lavoro e di vita delle donne delle masse popolari peggiora sempre di più persino in confronto a quella degli uomini del proletariato. Il numero delle donne disoccupate è molto superiore a quello degli uomini e, in genere, le donne del proletariato e delle masse popolari sono ancora più precarie, flessibili e vengono retribuite di meno, sul posto di lavoro sono più ricattabili e più comunemente oggetto di vessazioni di carattere sessuale da parte delle figure addette al controllo e al coordinamento, dei quadri intermedi e dirigenziali e, nel privato, anche degli imprenditori (grandi o piccoli che siano). Le donne subiscono direttamente anche il peso della riduzione dei servizi pubblici essenziali, che si traduce in maggiore durata del loro lavoro in ambito domestico ed assistenziale, oltre che in un accentuato logorio fisico e psichico.
Le donne quindi sono in gran parte dipendenti dagli uomini, aspetto che paradossalmente vale spesso anche per le donne degli strati della piccola borghesia privilegiata, all’interno della quale, per altro, si contano il maggior numero relativo di episodi di violenza e di femminicidi. Tutto questo in contraddizione con le operazioni del governo fascista in carica volte ad utilizzare il dato relativo alla violenza sulle donne per accentuare il razzismo, la repressione e le discriminazioni nei confronti degli immigrati e dei lavoratori extracomunitari.
La dipendenza economica comporta anche una rilevante dipendenza sessuale, con conseguente significativa difficoltà ad operare per lo scioglimento di vincoli familiari insoddisfacenti o addirittura rivelatisi altamente “tossici”. E qui le donne si trovano a doversi confrontare con ordinamenti, consuetudini e ideologie reazionarie (maschiliste, religiose – in primis il ruolo del cattolicesimo -, fasciste) che precludono loro, sostanzialmente, la ricerca di relazioni ed affetti alternativi.
Ed è per questo che tutta la sovrastruttura politica, giuridica e ideologica, che tende ad ostacolare la libera scelta delle donne in materie quali lo scioglimento dei vincoli familiari o l’aborto, si traduce in un’ulteriore catena che le lega al sistema oppressivo e discriminatorio dell’economia domestica, sovrastruttura alimentata oggi a piene mani dal governo fascista in carica, che promuove il maschilismo, il cattolicesimo ed il fascismo, alimentando fattori e comportamenti che incrementano la violenza sulle donne.
La lotta contro la discriminazione delle donne sui posti di lavoro, nella famiglia e nei diversi ambiti della cultura e della società, non può quindi prescindere dalla necessità di attaccare le basi di un sistema economico capitalistico e di una forma di Stato sempre più orientata in senso guerrafondaio e fascista.
L’oppressione della donna è però espressione di millenni di sedimentazioni economiche, giuridiche ed ideologiche. Essa proviene in ultima analisi dalla dissoluzione delle antiche società comunistiche, che rendevano sostanziale e centrale per la vita comunitaria il ruolo delle donne nel rapporto con la produzione. Tutto questo si è via via ridotto ai minimi termini, decomposto e fuso con lo sviluppo delle prime forme di dominio della proprietà privata e con esse in ultima analisi con il “patriarcato”. Il capitalismo e in generale l’imperialismo, ereditando quest’oppressione, l’ha anche variamente fissata e riprodotta. La conseguenza è che la questione delle donne va molto al di là di quella dei paesi imperialisti e quindi riguarda anche la maggior parte dei paesi del mondo che non hanno potuto sviluppare, a causa dell’oppressione e dello sfruttamento delle principali potenze imperialiste, una propria economia capitalistico-industriale indipendente.
Di conseguenza, la questione della lotta contro l’oppressione delle donne attiene alla lotta contro l’imperialismo. Impone dunque l’unione delle donne delle masse popolari dei paesi imperialisti (come l’Italia) con quella delle donne delle masse popolari dei popoli oppressi in lotta per la liberazione nazionale (Palestina) del proprio paese e in lotta per la costruzione della Nuova Democrazia (guerre popolari in India, Filippine, Perù, Turchia e lotte rivoluzionarie in vari altri paesi dell’America Latina e Centrale, dell’Asia e dell’Africa).
L’eroica resistenza armata delle donne palestinesi e quella delle militanti dei partiti comunisti che dirigono le guerre popolari e le lotte rivoluzionarie di Nuova Democrazia sulla Via del Socialismo, sono quindi un esempio e un modello per il movimento di liberazione delle donne di tutti i paesi del mondo.
Nella lotta contro il fascismo, l’imperialismo e le false “sinistre”, la costruzione di effettivi partiti comunisti capaci di assumere la centralità della questione della liberazione delle donne è quindi oggi un elemento decisivo per promuovere un reale movimento internazionale delle donne del proletariato e delle masse popolari di tutto il mondo. In tal senso bisogna prendere le distanze da tutte quelle tendenze e posizioni, largamente presenti negli attuali movimenti riformisti delle donne (si pensi in Italia a “Non una di meno”), che mirano a porre al centro una presunta contraddizione tra donne e uomini ed occultano e contrastano la necessità della lotta contro il fascismo e l’imperialismo e a sostegno delle guerre di liberazione nazionale e delle rivoluzioni di Nuova Democrazia.
Per un 8 marzo internazionalista contro il fascismo e la guerra inter-imperialista!
Per un movimento popolare rivoluzionario delle donne nel nostro paese!
Sosteniamo e prendiamo con esempio le lotte rivoluzionarie dei popoli oppressi a partire dalla Palestina!
PER LA DEMOCRAZIA POPOLARE
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