Il Sole24ore del 28 maggio richiama il III Rapporto dell’Osservatorio Imprese Estere (“Le imprese estere in Italia: tra segnali di ripresa e nuovi rischi globali” pubblicato sul sito https://impreseestere.it/). Le statistiche relative a tale rapporto contengono dati di effettivo interesse per quanto nel complesso largamente deformati e lacunosi. Non vengono considerati gli effettivi assetti proprietari, non viene minimamente documentata la presenza del capitale estero nei gruppi monopolistici multinazionali a dominanza italiana, non c’è un’adeguata distinzione delle imprese in rapporto alle classi di addetti (di fatto lavoratori dipendenti), non si distingue all’interno del lavoro dipendente tra lavoratori specializzati, non specializzati, impiegati, ecc.

Il Sole24ore saluta la presenza del capitale estero accennando al fatturato di tali imprese come ad un “tesoretto” da 550 miliardi. Da dove provenga tale “tesoretto” e dove, almeno in parte rilevante, sia destinato, tutto questo ovviamente risulta opportunamente occultato.

L’articolo del Sole è attraversato dalla solita retorica nazionalista che, in linea con confindustria ed istituzioni pubbliche, riesce a presentare l’iniziativa del capitale estero come un contributo alla crescita della competitività dell’economia nazionale. Non si tratta però solo di retorica. Dati i stretti legami che uniscono il “capitale nazionale” con quello “internazionale”, sussiste anche un’effettiva, pur non assoluta, collusione di interessi. Questo da parte di un imperialismo marginale come quello italiano interessato ad usufruire, pur in cambio di una parziale subordinazione, della protezione garantita dall’appartenenza all’area d’influenza segnata dall’egemonia del capitale americano e di quello tedesco.

“Le imprese a capitale estero sono determinanti per la crescita del nostro paese e i lavori dell’Osservatorio consentono di individuarne con chiarezza le ragioni. La proposta che portiamo al Governo è di organizzare annualmente un incontro con i CEO globali, come avviene già in tanti altri paesi nostri competitori, per attrarre e pianificare gli investimenti strategici del prossimo futuro. Noi siamo disponibili da subito ad attivarci e collaborare all’organizzazione dell’iniziativa”, ha dichiarato la Vice Presidente per l’Internazionalizzazione di Confindustria e presidente di ABIE.

“I dati del Rapporto confermano che le imprese italiane a controllo estero svolgono un ruolo sempre più cruciale per lo sviluppo dell’economia del nostro Paese. Per fornire una fotografia del comparto, nel 2020 le 15.631 imprese a controllo estero presenti in Italia hanno generato un fatturato di quasi 548 miliardi di euro e un valore aggiunto di circa 122 miliardi di euro. Nell’ultima edizione del rapporto abbiamo consolidato ulteriormente i risultati e analizzato le serie storiche che ci permettono di dire che le imprese a capitale estero, sempre più radicate sul territorio e interconnesse con le comunità locali su cui insistono, si distinguono per la loro maggiore propensione a investire e a innovare, ma anche per la capacità di portare nel Paese una nuova cultura aziendale, con benefici diffusi”, ha affermato Marco Travaglia, Coordinatore dell’Osservatorio ABIE[i] e Presidente e Amministratore Delegato del Gruppo Nestlé in Italia.

I dati più interessanti si trovano nelle statistiche riportate nel Rapporto. Si tratta di considerare ovviamente non solo gli aspetti quantitativi, ma soprattutto quelli qualitativi al fine di poter stimare, pur a grandi linee, l’effettiva capacità di penetrazione del capitale estero nel nostro paese e quindi il relativo grado d’intensità dell’indistricabile intreccio con il capitale italiano. Considerando il 2019, le imprese a controllo estero sono 15.780 con 1.510.000 addetti. Pur risultando solo lo 0,4% delle imprese operanti nel nostro paese, realizzano circa il 20% del fatturato complessivo. Se passiamo alla considerazione degli aspetti qualitativi, si evidenzia subito lo scarto che sussiste tra le imprese estere e quelle italiane rispetto al livello della composizione organica del capitale (rapporto tra capitale costante ossia essenzialmente macchinari, tecnologie, materie entranti nel processo produttivo e capitale variabile rappresentato dal salario unitario medio per numero di addetti). Un indice di tale composizione organica è rappresentato dal numero medio di addetti per impresa. Quanto maggiore è tale indice, tanto più elevata risulterà la composizione organica la quale cresce in proporzione più della crescita degli addetti. Per le 15.780 imprese relative alla presenza del capitale estero abbiamo per ogni impresa in media circa 100 addetti. Tenendo conto che una certa percentuale pur minoritaria di tali imprese risulta impiegata nel terziario avanzato e che conseguentemente in media registra un numero minore di addetti, possiamo avere un primo quadro dell’effettiva presenza del capitale straniero nella struttura produttiva manufatturiera. Questo a fronte di un numero medio di addetti nell’industria nazionale di 5,5 per impresa. Il rapporto tra spese in ricerca per addetto relativo alle industrie a capitale estero e di quelle per addetto delle industrie a capitale nazionale è di 5:1. Il che rappresenta un dato coerente con quello relativo alle dimensioni medie delle imprese per numero di addetti, ma che evidenzia non solo il divario medio esistente sotto il profilo della composizione organica, ma anche la superiore presenza relativa del capitale estero nei settori industriali di maggior rilevanza strategica.

Cosa pienamente confermata dai dati del Rapporto che riportano  una presenza praticamente nulla del capitale estero nell’industria legata ai settori tradizionali,  quindi sostanzialmente obsoleti e marginali, del cosiddetto “Made in Italy” tanto decantato dai retorici nazionalisti, che contrabbanda l’arretrato e intrasformabile modello capitalistico italiano fondato sul super-sfruttamento, sulla precarietà e sulle lavorazioni ad elevata nocività, come assimilabile a quello dei principali paesi europei.

Il Rapporto paragona poi le sole grandi imprese a controllo straniero con quelle a controllo italiano. Come già rilevato nel Rapporto, non si precisa quale sia comunque la presenza del capitale estero nelle grandi imprese a controllo nazionale. Qui il Rapporto parla di circa 100 grandi imprese straniere a fronte di circa 2900 grandi imprese nazionali. Anche in questo caso il numero medio di addetti per impresa è superiore per quanto riguarda il capitale estero, anche se non in modo così rilevante. Considerando questo dato, l’ovvia maggiore rilevanza delle grandi imprese rispetto a quelle di dimensioni minori e considerando la maggiore dimensione, seppur relativa, delle imprese a controllo estero, abbiamo che più di un terzo del settore effettivamente portante dell’economia è in mano al capitale straniero. Se a questo aggiungiamo le considerazioni fatte in precedenza sul carattere mediamente di minor rilevanza strategica delle grandi imprese a capitale nazionale, troviamo che è verosimile considerare intorno al 40% l’effettivo peso del capitale estero nella struttura produttiva industriale nazionale.

Circa 2200 imprese tedesche ed altrettante USA costituiscono la componente più rilevante del capitale estero in Italia, ma gli addetti nelle imprese controllate USA superano gli addetti delle controllate tedesche di 100.000 unità.

Nel Rapporto “Le imprese estere in Italia: tra segnali di ripresa e nuovi rischi globali” tutto questo viene esplicitato anche se spesso solo tra le righe. Consideriamo ora alcuni passaggi di tale rapporto: “Nell’industria, le multinazionali estere sono presenti soprattutto nel settore della fabbricazione di prodotti farmaceutici, impiegando il 50,3% degli addetti e producendo il 47,8% del valore aggiunto dell’intero settore; seguono la fabbricazione di prodotti chimici (28,4% di addetti e 38,5% di valore aggiunto del settore), di apparecchiature elettriche ed apparecchiature per uso domestico non elettriche (28,0% e 36,1%) e di autoveicoli, rimorchi e semirimorchi (24,1% e 31,1%)”. I primi due settori hanno rilevanza strategica, il terzo pare legato ai processi di assemblamento che sfruttano la presenza di imprese italiane per la produzione di singole componenti il quarto pare legato o alle produzioni di grandi imprese estere o al controllo d’imprese in precedenza a capitale italiano.

Riguardo alle dimensioni delle imprese il rapporto afferma: “La dimensione media delle imprese a controllo estero è ampiamente superiore rispetto alle imprese dei gruppi domestici: in termini occupazionali, nell’industria raggiunge i 115,9 addetti, rispetto ai 17,4; nei servizi 89 addetti, rispetto a 13,8. Rispetto alle imprese indipendenti, il differenziale aumenta notevolmente: la dimensione media delle imprese non appartenenti a gruppi e infatti di 2,3 addetti sia nell’industria sia nei servizi, mentre si riduce rispetto alle multinazionali italiane, la cui dimensione media e di 72,5 addetti nell’industria e 73,0 nei servizi. Nell’industria le imprese a controllo estero sono mediamente più grandi nei settori della fabbricazione di altri mezzi di trasporto (314,3 addetti), della fabbricazione di autoveicoli, rimorchi e semirimorchi (312,4 addetti), della fabbricazione di prodotti farmaceutici di base e preparati farmaceutici (309,4 addetti) e nella metallurgia (301,5 addetti)”.

 

Anche il seguente passaggio conferma quanto rilevato in precedenza: “Nei settori caratteristici del Made in Italy la presenza delle imprese multinazionali estere e il loro contributo risultano piuttosto limitati… Ciò conferma il ruolo complementare del capitale estero, prevalentemente concentrato nei settori a più elevato contenuto tecnologico, rispetto alla vocazione industriale nazionale specializzata nei settori “tradizionali” e nella meccanica strumentale”.

 

Particolarmente rilevante è la seguente affermazione che attesta come il peso effettivo del capitale estero nello spazio economico nazionale sia significativamente superiore a quello che si può intravedere ad una prima considerazione semplicemente quantitativa. La seguente citazione rimanda infatti ad un vasto numero di imprese nazionali di minori dimensioni di fatto assoggettate al capitale monopolistico USA e tedesco. “Per rimanere competitive, le imprese organizzano sempre più la loro produzione in catene del valore globali. In Italia, nel 2020, il 21,0% delle imprese  residenti con 50 e più addetti  hanno dichiarato di far parte di una catena globale del valore risultano controllate da una multinazionale estera”. [ii]

 

 

[i]L’Advisory Board Investitori Esteri (ABIE) è il gruppo tecnico di Confindustria in cui siedono i vertici delle più importanti aziende internazionali con una sede in Italia e ha tra i suoi obiettivi la valorizzazione del ruolo che le imprese a capitale estero svolgono per il nostro paese”(Quanto riportato tra parentesi riproduce quasi alla lettera una nota allegata, NdR).

[ii] Il Rapporto non usa il termine marxista relativo al capitale monopolistico, eppure lo stesso Rapporto evidenzia bene come il termine “multinazionale” sia spesso improprio e fuorviante in quanto notoriamente funzionale all’occultamento della centralità occupata da un determinato imperialismo nella  conduzione di una determinata impresa monopolistica. Oggi in media le imprese monopolistiche industriali, finanziarie, commerciali ecc. sono intrecciate con il capitale internazionale e quindi da questo punto di vista formalmente risultano “imprese multinazionali”.