Volantino diffuso a Trento nelle iniziative di protesta tenutesi durante il festival dell’economia
Il programma del festival dell’economia di Trento parla di 260 eventi, di un’articolata rappresentanza del governo, con la Meloni e ben 19 ministri, del mondo politico ( oltre all’esecutivo saranno presenti anche la segreteria del PD e Prodi), 90 esponenti del mondo accademico, 40 economisti internazionali e nazionali, 60 rappresentanti delle più importanti istituzioni europee e nazionali, 35 relatori internazionali, oltre 40 tra manager e imprenditori di alcune delle maggiori imprese italiane e multinazionali (compresi i principali esponenti del complesso industriale-militare dell’imperialismo italiano). Saranno inoltre presenti alti funzionari del Vaticano (cerimonia di apertura), della guardia di finanza, dei servizi segreti, in questo caso inglesi (Alex Younger, dal 2014 al 2020 capo del servizio segreto britannico).
È molto probabile che il contributo del festival dell’economia ad una riflessione volta a contribuire a una politica di effettiva modernizzazione del nostro paese, sempre più devastato dalla crisi economica e sempre più distanziato sotto il profilo economico e sociale dai principali paesi europei, risulterà praticamente nullo.
In Italia tutti i parametri relativi alla disponibilità e qualità dei servizi pubblici, alle prestazioni previdenziali, al costo della vita per le masse popolari, al livello della disoccupazione e della precarizzazione e all’entità di salari e stipendi della massa del lavoro dipendente, all’incidenza degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, ecc., sono oggi precipitati nettamente al di sotto del livello della Spagna (che ha stabilito un 10% di incremento generalizzato per salari e stipendi dei lavoratori entro poco più di un anno) e del Portogallo.
Nel nostro paese le costanti storico-economiche ed economico-sociali relative all’arretratezza della struttura produttiva, all’abnorme potere delle rendite parassitarie, ad un modello di estorsione del plusvalore fondato sul super-sfruttamento, sul ricatto del vastissimo esercito industriale di riserva, sulla precarizzazione e il lavoro nero, quando non su veri e propri sistemi semi-feudali (caporalato, dipendenza sul piano giuridico e legislativo dei lavoratori extracomunitari, uso diffuso delle cooperative, ecc.), precludono nel loro insieme qualsiasi politica economica in grado di creare sviluppo e miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro della classe operaia e delle masse popolari.
Quello che realmente questo festival lascia intravedere è una passerella di imprenditori, intellettuali e politici, esponenti dei centri del potere politico-militare, del clero e del terzo settore, che si fa portatrice di un messaggio profondamente eversivo, quello della necessità di una gestione sempre più corporativa della società. Una gestione dove i soggetti protagonisti del mondo economico e finanziario cooperino direttamente, oltre che con gli esperti dei vari settori dell’amministrazione e della cosiddetta cultura, con i vari esponenti dell’esecutivo e dei poteri forti.
Il festival dell’economia è quindi, quest’anno più che mai, soprattutto funzionale alla creazione di un consenso diffuso intorno ad un modello di gestione della politica e della società che oggi si propone di sostenere e legittimare, in modo tanto apologeta quanto mistificato, le almeno tre profonde e perverse transizioni in atto in tutto il cosiddetto mondo occidentale, ma in particolare nel nostro paese.
Il crollo delle ideologie della globalizzazione, che contrabbandavano la possibilità di un’espansione imperialista praticamente illimitata, ha lasciato il posto alla presa d’atto di una crisi sempre più profonda e sempre più gravida di futuri crolli bancari, con conseguente coinvolgimento di ulteriori settori industriali. Ritorna all’orizzonte l’ipotesi di una nuova stagione improntata ad una ripresa del capitalismo monopolistico di Stato. Tutto questo alimenta la tendenza alla terza guerra mondiale. Questa è la prima transizione. Di fatto oggi la terza guerra mondiale già iniziata con il conflitto in Ucraina, che oppone direttamente gli USA e le potenze imperialiste europee da una parte e, in l’imperialismo russo, ed in prospettiva quello cinese, dall’altra. Non passa giorno che la guerra non si accentui e con essa il coinvolgimento e la partecipazione dell’Italia imperialista. In questo quadro il nazionalismo, il razzismo e il fascismo ritornano pienamente in campo come attestano i risultati delle ultime elezioni politiche del nostro paese.
La seconda transizione è, dunque, quella pienamente in atto ad una forma di fascismo dispiegato. Il governo di estrema destra attualmente in carica ha più volte esplicitato le sue intenzioni in merito all’introduzione di un sistema presidenziale che comporterà la trasformazione in regime dello stesso governo. L’attacco alla forma politica dello Stato è oggi la principale direttrice strategica perseguita dal governo Meloni. Non è un’operazione difficile, visto che sono vari decenni che il processo di fascistizzazione e di corporativizzazione avanza praticamente indisturbato nel nostro paese con il pieno supporto dei partiti del cosiddetto centro-sinistra. In Italia la situazione è tanto più critica in quanto, con la fine della seconda guerra mondiale, non si è registrata un’effettiva rottura con il precedente regime fascista, ma quest’ultimo è stato incorporato e riciclato, sotto la supervisione degli USA, all’interno di una forma statale dalle sembianze di uno Stato demo-liberale e costituzionale. È appunto proprio questa forma che si pretende oggi di togliere definitivamente di mezzo.
La terza transizione è quella dell’attacco a fondo ai diritti e alle condizioni di vita e di lavoro della classe operaia e delle masse popolari. I settori di punta dell’economia italiana, grazie anche ai lauti contributi statali, stanno lavorando a pieno regime per la guerra. Assistiamo ad uno spostamento complessivo di risorse relative alla spesa pubblica nella direzione di una vera e propria economia di guerra. Parallelamente, la ripresa dell’aumento dei prezzi di generi di prima necessità, beni di consumo, bollette, benzina, ecc., toglie ulteriore reddito alle larghe masse che vivono con il lavoro dipendente. La crisi che si prospetta delle grandi banche si riverserà anche su decine di milioni di piccoli e piccolissimi risparmiatori. La protesta sociale cova sotterraneamente e rappresenta un rilevante pericolo per la borghesia italiana, che si dà da fare in tutti i modi per prospettare una falsa via d’uscita ultrareazionaria, per reprimere le iniziative di lotta e comprimere inverosimilmente i diritti e gli spazi di agibilità politica e sindacale.
Il nemico è in casa nostra! Questo non solo perché l’Italia imperialista è sempre più interna al conflitto ucraino, non solo perché il nostro paese è in posizione più avanzata, sulla strada del fascismo, rispetto ai principali paesi europei, ma anche perché c’è una diffusa sottovalutazione di tutto questo. In particolare all’interno della stessa sinistra radicale, dei movimenti di opposizione e del sindacalismo alternativo. È estremamente improbabile che le oscure transizioni in atto si possano invertire senza una lunga e dura iniziativa di massa volta all’instaurazione di un nuovo Stato democratico, popolare e antifascista capace di rappresentare gli interessi più profondi e decisivi della classe operaia e della maggior parte della popolazione. A tale scopo è necessario un vasto fronte popolare contro il fascismo, contro la guerra e contro l’imperialismo, per la difesa dei diritti e degli interessi immediati delle masse popolari e per una nuova Resistenza.
Costruiamo Comitati Popolari contro il fascismo e la guerra
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