Le grandi e diffuse mobilitazioni di solidarietà con il popolo palestinese di queste settimane hanno una grande importanza politica, soprattutto per l’ampia e combattiva partecipazione delle popolazioni arabe ma, per quanto riguarda le forze e i movimenti di opposizione presenti all’interno dei paesi imperialisti, evidenziano ancora una profonda insufficienza rispetto ad un reale lavoro volto alla mobilitazione e all’organizzazione dei lavoratori e dei giovani.

Nel nostro paese alcune realtà e associazioni invece di sostenere pienamente la resistenza palestinese, si accodano alla propaganda imperialista e affermano che le “colpe stanno da entrambe le parti”, in questo modo con la scusa di condannare Hamas in realtà negano il diritto del popolo palestinese in quanto popolo oppresso a difendersi contro l’oppressione fascista sionista. Altri ancora, spaventati dagli orrori genocidi di Israele, parlano continuamente di “pace” e di “cessate il fuoco” dimenticando che chi deve deporre le armi è solo Israele, non il popolo palestinese che giustamente invece si difende.

Gli scioperi di alcune organizzazioni sindacali alternative indetti per il 17 novembre a sostegno del popolo palestinese e le iniziative dei portuali di Genova miranti a bloccare i traffici di armi con Israele, così come le occupazioni di alcune facoltà universitarie, sono un importante segno di una iniziale controtendenza. Un’iniziativa che, dunque, sfugge dai margini ristretti di un movimento d’opinione e di un’iniziativa “pacifista” che avanzi appelli inconsistenti alle stesse classi dominanti reazionarie imperialiste complici dell’immane massacro in atto.

Nella giornata del 17 confluisce anche la protesta del movimento studentesco contro la riforma autoritaria del ministro Valditara, con scopi punitivi e intimidatori verso gli studenti combattivi, tendenza manifestasi con l’invio degli ispettori scolastici contro gli studenti che mettono in discussione il sostegno ad Israele. Molti settori studenteschi tendono a spostarsi a sinistra e uscire dai marginali del vuoto politicantismo dei sindacatelli studenteschi, per porre seriamente la questione del fascismo.

Non è possibile però sviluppare questo necessario e concreto movimento di lotta volto a trasformare il tentativo di genocidio in atto in un conflitto generalizzato su ampia scala, senza confrontarsi con i processi di fascistizzazione largamente in atto nei paesi imperialisti, tra cui spicca, in negativo, il ruolo del nostro paese in mano a un governo fascista che si ripropone, con le prossime riforme istituzionali, di approdare ad un organico regime ultrareazionario.

Lo vediamo nel recente atto autoritario del ministro Salvini, che ha precettato lo sciopero del 17 novembre nel settore trasporti, imponendo di fatto il divieto di sciopero e sanzioni per chi non lo rispetta. Si tratta di un atto inaudito, che i sindacati confederali vergognosamente hanno accettato e legittimato, con la scusa della “paura di sanzioni ai lavoratori” di fatto assecondando la fascistizzazione e la corporativizzazione in atto, pur di mantenere intatto il loro ruolo, e facendo passare un simulacro di sciopero di 4 ore come una reale protesta.

Sempre più si manifesta la tendenza alla polarizzazione tra un campo fascista reazionario, comprendente coloro che anche tra i sindacati, le associazioni e i partiti di cosiddetta “opposizione” lo sostengono, e chi invece cerca di lottare e contrapporsi ad esso. Ma per poter sviluppare effettivi movimenti di lotta su scala nazionale, anche in solidarietà con il popolo palestinese, è necessario spezzare le catene che, allo stato attuale, limitano inverosimilmente i diritti di espressione, di organizzazione, di mobilitazione e di lotta, ossia i diritti democratici e sindacali.

Una seria riflessione e una profonda autocritica sono quindi necessari in tutta la sinistra radicale, l’estrema sinistra, il sindacalismo alternativo e i movimenti di opposizione, per la sistematica sottovalutazione del problema del fascismo come realtà già pienamente operante. Da cui la necessità di un fronte popolare che unisca i sinceri democratici, gli antifascisti e gli effettivi comunisti nella prospettiva della costruzione di una nuova resistenza.

La guerra genocida contro la popolazione palestinese è un dato che trascende largamente lo stesso Medio Oriente. È una manifestazione e una conseguenza di una situazione internazionale caratterizzata da contraddizioni sempre più acute, che tendono alla rottura irreversibile di assetti politici e strategici già profondamente in crisi. La questione palestinese, così come l’eroica resistenza di questo popolo, sono solo uno dei tanti lati di una nuova fase storica ormai pienamente in atto. Una fase di scontro tra due schieramenti irriducibilmente contrapposti. Da un lato l’avanzata del fascismo, lo sviluppo della guerra contro i popoli oppressi e l’estensione della guerra inter-imperialista (già in corso in Ucraina), dall’altra lo sviluppo delle lotte di liberazione nazionale, delle rivoluzioni di Nuova Democrazia e di quelle popolari, democratiche antifasciste nella prospettiva dell’instaurazione del socialismo.

PER LA DEMOCRAZIA POPOLARE